Disse Ulisse (o meglio, Dante)...

"Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza"

lunedì 24 febbraio 2020

Ore 10, Porta Nuova

La stazione ferroviaria di Porta Nuova è uno dei luoghi di Torino a cui sono più affezionato, ci sono praticamente di casa. Cercando informazioni sul luogo ho scoperto l'esistenza di "Ore 10 Porta Nuova - La seconda indagine del commissario Martini", un romanzo giallo ambientato nella zona nel 1936.





Pubblicato nel 1991, è il secondo di un ciclo di 18 romanzi polizieschi scritti da Gianna Baltaro (1926-2008), giornalista torinese di cronaca nera, che negli anni '90 ha iniziato a dedicarsi alla narrativa poliziesca con ambientazione storica.

Il commissario Andrea Martini, pensionato da alcuni anni, ritorna periodicamente a Torino sia per stare con la sorella Teresa sia per salutare alcuni vecchi amici, come l'attuale capo della squadra mobile Piperno.
La nipote di una vicina di Teresa è vittima di lettere minatorie e, in cerca di un investigatore privato che ne capisca l'origine, si rivolge proprio a Martini di passaggio in città. Dopo aver accettato il caso l'ex commissario si ritrova a dover anche aiutare Piperno a fare luce sull'omicidio del professor Eugenio Lamberti, ritrovato morto quella stessa mattina alla stazione di Porta Nuova.


Nonostante il titolo, il protagonista del romanzo non è né il commissario Martini né la stazione di Porta Nuova, bensì il quartiere San Salvario, adiacente alla stazione.

Sorto a partire da metà Ottocento come conseguenza della costruzione di Porta Nuova, il quartiere San Salvario è ricordato storicamente come il quartiere degli immigrati e della classe lavoratrice in generale, ma allo stesso tempo va ricordato come il cuore dinamico e innovatore della città, dove ha avuto origine la vocazione industriale della prima capitale italiana: è qui che sono nate la Lancia e la Fiat, e quest'ultima ha avuto per anni sede qui, nonostante la produzione effettiva fosse stata spostata rapidamente in altre zone della città.
Il quartiere si sviluppa lungo la sponda orientale della strada ferrata che parte da Porta Nuova, in parallelo al quartiere Crocetta.

Mappa di San Salvario

È a San Salvario che risiede la vittima delle lettere minatorie (per la precisione a Largo Saluzzo), e sempre a San Salvario vive la famiglia di Lamberti, e a San Salvario, infine, il commissario Martini svolge i suoi estenuanti interrogatori, tra mille caffè ora di buona qualità ora a base d'orzo, perché le sanzioni internazionali conseguenti all'invasione italiana dell'Etiopia rendevano all'epoca molto costoso il caffè.

Dico estenuanti perché il libro è caratterizzato da una tremenda lentezza e una assoluta mancanza di suspence, e le indagini del commissario Martini si riducono a passeggiate per la città e a lunghe e noiose chiacchiere con personaggi diversi, tutti anonimi e privi di carisma. Lo stesso Martini non ha nessun carisma, e portare a termine la lettura risulta difficile, soprattutto per l'assenza di scene di vera tensione.
La soluzione del mistero è poi presentata al lettore tramite Deus-Ex-Machina (nonostante venga specificato come Martini ci fosse già arrivato autonomamente), in maniera abbozzata e insoddisfacente.

Citando la parte conclusiva del libro:

"Guardando attraverso la finestra, Martini si accorse che il cielo si stava schiarendo. Erano trascorse ore da quando era avvenuta la cattura e che si trovavano in quell'ufficio ormai saturo di fumo. Martini si sentiva stanco: non aveva più voglia di parlare. D'altronde, non sarebbe stato facile spiegare come erano sorte le sue intuizioni, perché aveva adottato certe tattiche, perché si era intestardito su certe posizioni e quali erano state le combinazioni fortunate che l'avevano aiutato."

L'autrice piuttosto che spiegare al lettore cosa porta il protagonista a risolvere il mistero preferisce glissare e mostrare la soluzione al lettore tramite Deus-Ex-Machina.

Il libro



La cosa migliore che il libro offre sono le descrizioni di stralci di vita quotidiana nella Torino del 1936, e infatti la prima scena del libro, che mostra una mattinata di invernale in Largo Saluzzo, è una delle parti più belle.

"Sotto i suoi occhi largo Saluzzo si prospettò con l'eleganza della sua pianta ottagonale, punteggiata dalle linee e dai contorni che gli erano famigliari: la chiesa di San Pietro e Paolo, con affianco il negozio di articoli religiosi, poi, tutt'intorno, le altre botteghe: la pescheria, la drogheria, il fruttivendolo... E, fra queste, anche il suo negozio, con la bella insegna di lamiera su cui spiccava il suo nome: «LUIGI POZZO - TESSUTI».
Erano quasi le sette e la piazzetta cominciava ad animarsi con il via vai delle biciclette, il rumore dei carri, il passaggio della gente. Gino si sentì stringere il cuore. In quel suo piccolo mondo, tutto sembrava così uguale agli altri giorni, così intimo... La piazza, raccolta come il cortile di una casa, con il toretto dell'acqua dove Antonio, quello della pescheria, stava risciacquando i suoi strofinacci; il verduriere che sistemava le cassette di verdura sul piccolo banco allestito a un lato della porta; le portinaie che scopavano il proprio tratto di marciapiede davanti agli androni delle case; i passanti occasionali che facevano le loro soste nel vespasiano."


Largo Saluzzo oggi


Il libro offre anche piccole testimonianze di eventi storici cittadini, come questo passaggio ambientato in piazza Carlo Felice, il parco in faccia alla stazione ferroviaria:

"Balzò su un tram diretto a Porta Nuova con l'idea di scendere alla fermata della stazione perché gli piaceva, ogni tanto, fare un giro nel bel giardino di Piazza Carlo Felice.
Quel giorno ebbe una sorpresa amara: un gruppo di operai molto solerti, stava lavorando all'abbattimento della cancellata che cingeva il giardino. La dolorosa decisione era stata presa allo scopo di raccogliere ferro da destinare all'industria bellica. Le sanzioni, applicate dai paesi stranieri in opposizione alla guerra d'Africa, avevano determinato una carenza di metallo e, di conseguenza, il governo aveva deciso di reperire in patria tutto quanto era possibile.
In quel periodo, altre cancellate di guardini pubblici e privati avevano seguito la stessa sorte e, anche se in minima parte, questo fatto contribuiva a cambiare il volto della città. Qui, alcuni abitanti della zona, abituati a considerare piazza Carlo Felice come il giardino di casa, erano in subbuglio e si erano riuniti in capanelli per commentare l'avvenimento con molta ostilità.
Ma c'era altro.
Contemporaneamente, un secondo gruppo di operai stava rimuovendo dalla sua base la statua di Massimo d'Azeglio che, da tempo immemorabile, si trovava lì, davanti alla stazione, per dare il benvenuto ai viaggiatori in arrivo.
Martini stette qualche minuto a osservare; poi, si rivolse a un uomo che sembrava il capo.
– Dove la portate – chiese.
– Al Valentino, dalla parte di corso Vittorio, sull'angolo di corso Massimo d'Azeglio.
– Lì, si troverà a casa, – commentò brevemente il commissario; poi, girò le spalle, conscio di lasciare dietro di sé un frammento del passato."

Statua di Massimo D'Azeglio,
oggi al Parco del Valentino


Ma tutto ciò dovrebbe essere un valore aggiunto al libro e non il piatto principale, dato che nonostante abbia una ambientazione storica resta pur sempre un romanzo poliziesco.

L'idea di un giallo ambientato a Torino in epoca fascista secondo me aveva molto potenziale, mi dispiace sia stata sviluppata così male. Però in biblioteca ho notato che sono disponibili altri libri della serie, e quindi probabilmente proverò a ridare fiducia a Gianna Baltaro, sperando che nei capitoli successivi abbia aggiustati il tiro e abbia imparato a usare la giusta dose di tensione e a creare dei personaggi interessanti da leggere.

E voi? Avete mai letto un romanzo poliziesco ambientato in un luogo che frequentate spesso nella vita quotidiana?

5 commenti:

  1. PARTE I: Sì, io ho letto tutti i romanzi di questa scrittrice ambientati in anni lontani ma nella mia città (da cui ora vivo distante). E’ bello che l’interesse per #GiannaBaltaro riguardi anche lettori giovani, studenti e ricercatori che indagano su Torino Città Letteraria. Perché alla fine il critico letterario è sempre qualcuno che scrive: MI PIACE, NON MI PIACE. Ciò detto, quando si recensisce qualcosa, si deve leggere almeno con attenzione. Qui invece la lettura di #GiannaBaltaro mi sembra una lettura molto superficiale. A prima vista balzano agli occhi almeno 2 imprecisioni e una incomprensione di fondo: Martini non torna a Torino da Diano d’Alba per stare con la sorella, ma quando passa o si trattiene a Torino la sorella lo ospita in un quartierino nell’alloggio di famiglia. E poi avviene che gli ex colleghi del commissario richiedano espressamente l’aiuto di Andrea “per togliere le castagne dal fuoco”, come dice prosaicamente e polemicamente Teresa.
    Gianna Baltaro “non si dedica alla narrativa poliziesca con ambientazione storica”, ma inventa “il giallo storico torinese”. Con una caratteristica ben precisa, quando la Baltaro scrive tutto è degli, anzi: negli anni Trenta, non solo gli abiti, i luoghi (che magari non ci sono più nella Torino attuale), i locali, le botteghe. Ma soprattutto il modo di pensare, sentire della gente, proprio tipico di quella Torino Sabauda. Non a caso Luca Crovi vede una linea diretta tra Gianna Baltaro e Augusto De Angelis (che nei ’30 visse davvero), il commissario Martini e il commissario De Vincenzi. Anche se Martini è molto più anticonformista fin dalla scelta delle sue dimissioni al culmine della carriera. Ma nulla di eccessivo, nulla di troppo esplicito nell’ex commissario.
    Infine, la conclusione di “Ore 10. Porta Nuova” (ora e luogo di un appuntamento) mi sembra molto amara, molto realistica, molto umana e senza sbrodolature né trionfalismi, il che, come scrive Rocco Ballacchino, è tipico del noir. Chi sarebbe qui il (al liceo lo scrivevamo senza trattini) Deus ex machina? Solo il destino. Martini preferisce affidarsi, come il Maigret di Simenon, più all’intuito e alle indagini meticolose che alle elucubrazioni delle “celluline grigie”. Considera importante formarsi un giudizio sulla gente anche attraverso l'ambiente nel quale vive. Lascia i sospettati nell’incertezza perché si tratta di “una mossa psicologica per indebolire le loro difese”.

    Massimo Rondi
    https://www.facebook.com/massimo.rondi.5

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    1. Grazie per il commento.
      Correggerò quelle che vedi come imprecisioni nel post, ma comunque il deus ex machina resta: non vedo perché il destino non possa essere considerato tale, sinceramente. Si tratta di un elemento che opera al di fuori della volontà del protagonista e lo aiuta in maniera sostanziale a risolvere la vicenda. Non metto in dubbio che Martini fosse arrivato a quelle conclusioni autonomamente, ma senza la dettagliatissima confessione spontanea di un dato personaggio Martini non avrebbe risolto il caso così velocemente e probabilmente l'assassino sarebbe scappato. Allo stesso modo all'interno del romanzo mancano momenti di tensione: la vicenda prosegue linearmente e senza intoppi, anche quando dovrebbero essercene (non dico quando precisamente, perché potrebbe capitare in questa pagina qualcuno intenzionato a leggere il libro e ricevere un amaro spoiler).
      Non ho messo in dubbio le capacità di Gianna Baltaro (gli hashtag sono inutilizzabili su questa piattaforma) di ritrarre gli anni '30, anzi, ho detto esplicitamente che la gestione della componente storica è la cosa migliore del libro.

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  2. PARTE II: Ma la conclusione va letta nella sua interezza, per capire tutto questo:
    “– Lei deve avere un ben misero concetto dei mezzi della polizia, – intervenne Piperno. – Qualunque sia la sua opinione, io le garantisco che non esiste il delitto perfetto. Un assassino può sfuggire alla giustizia quando agisce d’impulso, senza premeditazione; ma chi progetta un crimine così complesso come quello che ha ordito lei, non riesce a badare a tutto: c’è sempre qualche elemento, anche minimo, che gli sfugge e che gli è fatale.
    Il capo della Mobile lanciò uno sguardo al suo collega come se volesse passargli la palla.
    – Il fatto più importante, – intervenne Martini, – è che il nostro dubbio, non era basato sull’intuizione: aveva delle ragioni oggettive.
    Guardando attraverso la finestra, Martini si accorse che il cielo si stava schiarendo. Erano trascorse ore da quando era avvenuta la cattura e che si trovavano in quell’ufficio ormai saturo di fumo. Martini si sentiva stanco: non aveva più voglia di parlare. D’altronde, non sarebbe stato facile spiegare come erano sorte le sue intuizioni, perché aveva adottato certe tattiche, perché si era intestardito su certe posizioni e quali erano state le combinazioni fortunate che lo avevano aiutato. Gli rimaneva un’ultima curiosità.
    – Perché ha deciso di fuggire? – chiese.
    –Gliel’ho detto anche prima: ho intuito subito che lei è un avversario pericoloso.
    Erano le battute conclusive della nottata e Piperno chiamò il piantone.
    – Portatelo in camera di sicurezza, – disse.
    Fecero i pochi passi che li separavano da Porta Susa ed entrarono nel bar della stazione che, a quell’ora, era già aperto.
    – Due caffè, – ordinò Piperno.
    Bevvero senza parlare; poi, camminando lentamente attraverso la città che si stava svegliando, andarono a casa”.
    Concludendo, #GiannaBaltaro non ha bisogno di imparare a scrivere: docente, cronista di nera. giornalista e infine scrittrice con all’attivo 18 romanzi della serie del commissario Martini e innumerevoli testi di vario genere è stata pluripremiata, valutata positivamente dalla critica e tuttora ripubblicata. “Lunga vita” - scrisse Elio Rabbione, direttore del Corriere dell’Arte - alla Signora del giallo, paragonata ora ad Agatha Christie ora a Simenon, ma poi, come definì il convegno del 2015, “essenzialmente se stessa”.
    Grazie per lo spazio!
    Massimo Rondi
    https://www.facebook.com/massimo.rondi.5

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    1. Anche citando questa parte del finale la questione rimane: i pensieri di Martini riguardo il caso restano pressoché oscuri al lettore, e non viene spiegato dettagliatamente cosa lo abbia portato a capire gli eventi: sappiamo che ragiona, ma i suoi ragionamenti sono schermati nello svolgersi della storia e tralasciati nel finale.

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  3. Possiamo suggerire una chiave di lettura? Non nostra, sarebbe troppo facile forse. Ma da Rocco Ballacchino, TORInoir. "Riscoprendo Gianna Baltaro:

    “Il caso era chiuso, ma nella stanza non c’era aria di trionfo”.

    Si conclude con questa frase Due gocce di sangue blu, uno dei romanzi che Gianna Baltaro ci ha lasciato in eredità dopo essere scomparsa nel 2008. Ho scelto di partire da qui, dall’ultima e questo è già di per sè un reato per questo genere di narrativa, perchè racchiude la sensazione che l’autrice riesce a trasferire al lettore al termine di quest’appassionante lettura. Il giallo è giunto al termine, risolto grazie alla solita sperimentata capacità investigativa dal commissario Martini, ma gli uomini, i personaggi ne escono sconfitti. Una sentenza finale più da noir che da giallo, per quanto possano essere sottili le distinzioni tra i due generi consanguinei.
    L’intreccio è iniziato centinaia di pagine prima con l’assassinio, compiuto su un idrovolante durante il viaggio da Torino a Venezia (ebbene sì, accadeva proprio così, partendo all’altezza del Ristorante San Giorgio, sul Po), della baronessina Valeria Langriano, messa a tacere prima che possa concludere il suo percorso alla ricerca di una verità scomoda per la sua aristocratica famiglia, in cui, per dirla in maniera gergale , il più pulito c’ha la rogna.
    Non sto qui a soffermarmi sulla vera e propria recensione del romanzo, ambientato in una Torino degli anni trenta mirabilmente ricostruita dalla giornalista torinese, perchè non sono un critico, ma un autore che vuole riportare l’emozione provata scoprendo, attraverso le pagine di questo giallo, un’autrice di cui avevo sempre sentito parlare, ma di cui non avevo ancora, colpevolmente, letto nulla.
    Di lei, di Gianna, dell’Agatha Christie piemontese, ho apprezzato la sapienza nella costruzione dell’intreccio giallo, la sobrietà del linguaggio, la mancanza di effetti speciali da molti utilizzati per attirare le benevolenze del lettore e un personaggio principale, il commissario Andrea Martini, narrativamente vincente.
    Quando un lettore affronta le pagine di uno scrittore di cui ha solo sentito parlare solitamente ci sono due responsi possibili al termine di quell’esperienza: o il libro ha deluso le sue aspettative oppure è stato all’altezza delle sue attese.
    Nel caso di Gianna Baltaro si è certamente per me verificata la seconda ipotesi. E a lei non possono che andare i miei complimenti più sinceri, nella speranza che la connessione internet abbia già raggiunto anche la dimensione ultraterrena.

    Rocco Ballacchino
    Fonte Torinoir
    http://www.roccoballacchino.it/riscoprendo-gianna-baltaro/"

    Un saluto.

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Disse Anton Ego...

"Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale."