Disse Ulisse (o meglio, Dante)...

"Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza"

lunedì 6 aprile 2020

La sera del dì di festa di Giacomo Leopardi: poesia e analisi del testo

Pubblico qui sul mio blog un'analisi del testo che ho fatto come compito a scuola ormai due anni fa. L'analisi è su "La sera del dì di festa" di Leopardi, e sono molto soddisfatto del risultato. Qui sotto la poesia con relativa analisi:



La sera del dì di festa


Dolce e chiara è la notte e senza vento,
E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
Giacomo Leopardi
Posa la luna, e di lontan rivela
Serena ogni montagna. O donna mia,
Già tace ogni sentiero, e pei balconi
Rara traluce la notturna lampa:
Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
Nelle tue chete stanze; e non ti morde
Cura nessuna; e già non sai nè pensi
Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
Appare in vista, a salutar m'affaccio,
E l'antica natura onnipossente,
Che mi fece all'affanno. A te la speme
Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
Questo dì fu solenne: or da' trastulli
Prendi riposo; e forse ti rimembra
In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
Piacquero a te: non io, non già, ch'io speri,
Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
Quanto a viver mi resti, e qui per terra
Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
In così verde etate! Ahi, per la via
Odo non lunge il solitario canto
Dell'artigian, che riede a tarda notte,
Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
E fieramente mi si stringe il core,
A pensar come tutto al mondo passa,
E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
Il dì festivo, ed al festivo il giorno
Volgar succede, e se ne porta il tempo
Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
Di que' popoli antichi? or dov'è il grido
De' nostri avi famosi, e il grande impero
Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
Che n'andò per la terra e l'oceano?
Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
Il mondo, e più di lor non si ragiona.
Nella mia prima età, quando s'aspetta
Bramosamente il dì festivo, or poscia
Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
Premea le piume; ed alla tarda notte
Un canto che s'udia per li sentieri
Lontanando morire a poco a poco,
Già similmente mi stringeva il core.


Analisi


La Sera del dì di festa è un idillio contenuto nei canti di Leopardi, composto nel 1820 e strutturato in endecasillabi. In questa poesia Leopardi immagina di parlare a una ragazza di cui  è innamorato, la notte dopo il giorno di festa: la immagina beatamente addormentata dopo la serata di divertimenti, mentre lui è triste perché si sente privo di ogni speranza. Leopardi incolpa la Natura, che nonostante appaia così placida e serena ("Dolce e chiara è la notte, e senza vento," vv 1) è stata così crudele con lui ("e l'antica natura onnipossente,/che mi fece l'affanno. A te la speme/nego, mi disse, anche la speme; e d'altro/non brillin gli occhi tuoi se non di pianto." vv. 13-16); la Natura fa sì che il tempo scorra inesorabilmente, e mentre Leopardi si dispera per la sua condizione e la ragazza ricorda in sogno la festa di poche ore prima, il giorno festivo è passato lasciando il posto al giorno feriale, e così via con tutte le giornate. Anche l'Impero Romano (ragiona il poeta) fece gran "rumore" nella storia, ma il tempo l'ha sommerso, e ora la cosa che fa più rumore è il canto di un artigiano, che dopo i bagordi della giornata se ne torna a casa, canto destinato a perdersi dopo poco anche'esso ("lontanando morire poco a poco" vv. 45). E mentre il poeta sente il suo cuore stringersi al pensiero che la natura col tempo cancella ogni cosa nella maniera più radicale, torna con la memoria a quando era bambino, quando gli dispiaceva che il giorno di festa fosse finito, sentendo una sensazione simile a quella di quel momento: come emerge dal testo il giorno di festa è infatti un momento di gioia fugace, destinato a perdersi nelle esperienze di vita e nella storia. È interessante come alla fine del componimento Leopardi accenni a come desiderava che arrivasse il giorno di festa e come gli dispiacesse quando finiva, saltando totalmente il raccontare come passasse questa festa ("nella mia prima età, quando si aspetta/bramosamente il d' festivo, or poscia/ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,/premea le piume;" vv. 40-43) come per sottolineare che il momento di gioia era così fugace da non essere rilevante, o quantomeno ad esserlo meno dell'attesa della festa e del dispiacere che questa festa sia finita.

Tutto questo può essere ricollegato anche a una delusione delle aspettative, elemento psicologico che caratterizza in generale le esperienze di Leopardi: come esempio di ciò si può vedere quando uscì finalmente dai confini di Recanati, e rimase deluso nel conoscere gli altri letterati italiani, che nella sua mente erano stati idealizzati. La delusione delle aspettative però può essere anche in positivo, come potrebbe essere stata quella derivata dall'incontro con Manzoni: difficile immaginare due autori più in antitesi dal punto di vista filosofico e stilistico: se Leopardi usava creare movimento e imprevedibilità nei suoi versi (si vedano in questa poesia per esempio l'incipit, dove il verso sembra finire dopo "notte", ma viene prolungato con "e senza vento", creando una certa imprevedibilità nei suoni... una delusione delle aspettative). Manzoni usava maggiore regolarità  ritmica, e se Leopardi vedeva nella storia e nello scorrere del tempo solo una noncurante azione corrosiva da parte della Natura, Manzoni vedeva in questo la mano della provvidenza divina, la volontà di un Dio che vuole aiutare l'umanità. Stranamente Leopardi rimase però colpito in positivo da Manzoni: non sappiamo cosa si dissero quando si conobbero, ma Leopardi annotò che "Manzoni merita tutta la sua fama". L'unico punto in comune trai due è la necessita della solidarietà umana, per uno l'unico mezzo per contrastare la crudeltà della Natura, per l'altro intesa come carità cristiana: avranno discusso di questo?

Alessandro Manzoni

Tornando a parlare della delusione delle aspettative, questo tema viene ripreso anche in altre poesie dell'autore, come A Silvia; qui il poeta parla di una ragazza di cui anche questa volta era invaghito senza essere ricambiato, i cui sogni e le cui aspettative erano stati delusi ancora una volta dalla Natura e dal tempo divoratore: Silvia era morta in giovane età, senza avere il tempo di realizzare i suoi desideri.

Sempre a proposito di morte, vale la pena analizzare e parlare di una famosa espressione di Leopardi, le "morte stagioni": un modo curioso di intendere gli anni passati, come se fossero morti: potrebbe essere un concetto ripreso dalla filosofia di Seneca. Questa espressione viene usata da Leopardi ne L'infinito parlando del suono di queste morte stagioni, e questo si può ricollegare a come ne La sera del dì di festa il poeta parli del "suono" dell'Impero Romano nella storia. In generale Leopardi, pensando alle "morte stagioni", vede nel fanciullo un'età di ingenua felicità, come asserisce sia alla fine della poesia in analisi che alla fine de Il sabato del villaggio: quando si è fanciulli è l'unico momento in cui si gode, in maniera ingenua, del dì di festa, l'unico momento in cui si attende con impazienza che arrivi e ci si dispiace sinceramente sia finito.

Parlando di aspetti un po' più tecnici della poesia in esame, questa si può suddividere in tre parti, dal verso 1 al 24 Leopardi dialoga con l'amata e si lamenta della condizione in cui la natura l'ha generato, dal verso 24 al 28 Leopardi fa una piccola digressione sul canto di un artigiano che sente da sotto la sua finestra mentre questa rincasa dopo la festa, e questo canto lo porta dal verso 28 al 46 a formulare una riflessione sulla distruttività del tempo.

Riprendendo il discorso sull'uso di suoni movimentati ed imprevedibili, va notata invece un'ultima cosa: il costante uso di enjambement, che spezzano l'andatura del verso: il più notevole è probabilmente quello trai versi 14 e 15, che oltre a spezzare il verso mette in risalto due parole fondamentali, "speme", speranza, e "nego": a Leopardi viene negata ogni speranza, e per far capire meglio il concetto fa sì che le due parola siano separate da una pausa grafica e sonora.

2 commenti:

  1. Ecco, effettivamente appunto la tematica del ricordo e dell'attesa era già ne Il sabato del villaggio.
    Io penso che sia vero: l'attesa aumenta il piacere.
    Ma penso anche che si possa fare festa ogni volta che ci pare, ovviamente non spessissimo, altrimenti diventa routine senza magia.

    Moz-

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    1. Sì, è una poesia che ha molto in comune con "Il sabato del villaggio"! :)

      Però non penso che nell'ambiente dove viveva Leopardi in quel momento si potesse concepire la possibilità di far festa ogni volta che si vuole: suppongo che nella Recanati dell'epoca il controllo sociale dovesse esser molto forte, e le feste coinvolgevano tutta la piccola comunità cittadina

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Disse Anton Ego...

"Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale."