Conosco Giorgio Mignemi in quanto ha tenuto nella mia scuola un corso di teatro l'anno scorso, a cui ho partecipato (come accennavo nel post su "Lisistrata", ho seguito questo corso per tre anni), ma... Ammetto di non averlo mai visto recitare su un palco prima della visione di "Officine Zero". La visione dello spettacolo mi ha fatto render conto quanto la mia fosse stata una grave mancanza.
Andiamo però con ordine, parlando della trama e della struttura dell'esibizione.
Mignemi e me |
Mignemi e me |
Dopo un'introduzione sulla storia dell'automobile e della FIAT, l'attore inizia un monologo nei panni di un operaio, che, lavorando nella fabbrica tra il 1936 e il 1952 ha potuto vivere in prima persona la resistenza operaia durante la II Guerra Mondiale all'interno della FIAT di Torino. Questi operai, di idee comuniste, dovevano discutere e pianificare gli scioperi in gran segreto perché perseguitati dal regime fascista, arrivando a liberare la fabbrica dai repubblichini e dai tedeschi, che l'avevano convertita in una industria bellica.
Questo è lo spettacolo in breve, ma dal vivo l'autore aggiunge molto altro, grazie alla sua capacità recitativa e a trovate sceniche. La psicologia del giovane protagonista, che si trova a 18 anni inesperto in mezzo a uomini adulti e decisi a combattere per la propria libertà e i propri ideali, è resa favolosamente e in maniera molto realistica, e diventa quasi un romanzo di formazione, col giovane che piano piano cresce e si trova in situazioni sempre più rischiose che lo portano a provare un'umanissima paura che però riesce a combattere. L'immedesimazione col protagonista che si trova in una situazione più grande di lui ma che riesce a cavarsela e a scrivere la storia, grazie al supporto dei suoi compagni, è assicurata. Anche l'immersione nella scena è assicurata: nonostante, essendo un monologo, ci sia solo un attore sul palco, questo è così capace da dipingere davanti agli occhi dello spettatore un contesto con due/tre personaggi semplicemente raccontando, usando solo la sua voce e il suo corpo.
Oltre al messaggio storico antifascista, il tutto lascia altri messaggi più universali, come la lotta alla paura di combattere in ciò che si crede, nel proprio ideale; quest'ultimo un messaggio che sinceramente in generale trovo tanto inflazionato quanto sottovalutato, in quanto spesso presente ma raramente seguito davvero, ma che in questo spettacolo viene sviluppato egregiamente, dandogli la giusta umanità e la giusta importanza.
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