Nel giro di pochi giorni ho dovuto studiare uno di seguito all'altro il mito dell'età dell'oro in letteratura latina, il concetto di Stato di Natura secondo Russeau e l'economia delle prime società umane ai tempi della rivoluzione agricola in antropologia. Un mix letale, che mi ha ispirato la stesura di questo racconto, dove un vecchio saggio narra alla sua tribù di tempi antichi.
I più giovani lo conoscevano a malapena: molto schivo e solitario, Clo non parlava praticamente mai, probabilmente nessuno di loro aveva mai sentito la sua voce. Era un tipo davvero strambo, peloso, tarchiato, robusto, basso, e ormai ricurvo dagli anni, sempre solo. L’unico momento in cui si univa con la comunità uscendo dalla sua tenda era durante le feste: suonava divinamente il flauto e i tamburi, e di tanto in tanto arrivava anche a dare lezioni pratiche ai giovani musicisti. L’unica persona con la quale stava spesso era Dilbat, l’anziano capotribù.
Dopo il pasto svolto in comunità, bambini e ragazzi erano soliti radunarsi assieme ai più grandi attorno a Dilbat, che, alla luce calda del fuoco, raccontava loro antiche leggende, o storie della sua vita.
Nonostante fosse un tipo solitario, Clo era un membro della comunità e la sua dipartita aveva reso tutti più taciturni e tristi, in particolar modo Dilbat, che sembrava l’unico della tribù con cui Clo avesse un legame. Solo i più piccoli erano un po’ spiazzati da quest’aria cupa che circondava tutti: non sapevano bene chi fosse Clo. C’era solo un modo per sapere di più su di lui, e questo era chiedere a Dilbat
« Grande Dilbat, l’uomo che abbiamo seppellito oggi… Chi era? » chiese Windo, la più curiosa e intraprendente ragazzina dei Radei, mentre ci si radunava attorno al fuoco a sentire i racconti di Dilbat.
Questa domanda provocò un silenzio generale: i più giovani erano curiosi di sentire la risposta, gli adulti invece erano imbarazzati per la domanda che sentivano come fuori luogo e irrispettosa.
« Probabilmente l’ultimo dei grandi uomini antichi. » disse seccamente Dilbat. L’anziano capotribù si lisciò la lunga e rettangolare barba grigia, che gli arrivava al petto, e guardò fisso Windo. La ragazzina sembrava non capire
« Forse voi non conoscete quella vecchia leggenda che mio padre mi raccontò quando avevo più o meno la vostra età. Qualcosa mi dice che è ora che l’apprendiate!
Vi fu un tempo in cui gli uomini vivevano in armonia con la natura: era un’epoca in cui piccole comunità umane cacciavano grossi animali, trovando riparo nelle caverne. Questi uomini non coltivavano e non portavano greggi al pascolo, vivevano come vivono i lupi, spostandosi nel Mondo all’inseguimento delle loro prede. All’epoca il Mondo non era come è adesso, faceva molto più freddo e non era solo l’uomo a mangiare gli animali, ma anche gli animali a mangiare l'uomo. Vi erano all’epoca grossi animali dal lungo pelo, col quale si riparavano dall’eterno inverno che regnava in quei secoli lontani. Questi primi uomini avevano più pelo di quelli attuali, ma usavano anche scuoiare queste bestie immense per coprirsi con le loro folte pellicce. L’uccidere queste fiere richiedeva molta forza, e infatti gli uomini antichi erano molto forti. Questi progenitori vivevano felici nel loro ambiente naturale in pace gli uni con gli altri, non desiderando nient’altro di ciò che la natura gli offriva, e non sapevano parlare per non dire menzogne. Vissero fintanto che l’inverno durava sul Mondo, poi venne la seconda generazione di uomini, quella da cui noi oggi discendiamo. I Secondi Uomini vennero da dove sorge il sole, desiderosi di potere e di guerra. All’arrivo della primavera nel Mondo, essi avevano combattuto una feroce guerra con i Primi Uomini, e li avevano trucidati quasi tutti, costringendo i pochi sopravvissuti a fuggire sugli alti monti. Pochissimi di loro si unirono ai Secondi, e nacquero famiglie miste, ma i meticci presero tutta la violenza dei Secondi. Non si seppe più nulla dei Primi, ormai isolati dal resto dell’Umanità: sopravvissero però così in pochi che è probabile che col tempo siano morti quasi tutti.
I Secondi Uomini frattanto con il loro furore e la loro sete di potere hanno sottomesso la natura al loro volere, e oggi siamo noi a decidere quali frutti la terra deve darci, ed è il lupo a scappare davanti noi e non il contrario. »
« Clo era quindi l’ultimo dei Primi Uomini? » chiese Pentium, giovane curioso come Windo, ma meno ardito.
Dilbat guardò fisso il fuoco, forse con incertezza.
« Io sono fermamente convinto di sì. Tutto ciò che sapevo di lui l’avevo imparato conoscendolo e parlando col terribile re Gegra, ma aveva tutte le caratteristiche dei Primi Uomini: muto, forte, ma anche disinteressato ai beni materiali e innocente come un bambino. Era anche innegabilmente peloso! » osservò Dilbat con un malinconico sorriso.
« Re Gegra conosceva Clo?! » esclamò più d’uno sorpreso.
« Sì, conobbi l’ultimo degli antichi uomini quando ero prigioniero alla corte di Gegra, il tremendo e sanguinario re dei predoni Aspre… Non so se possa esistere uomo migliore per descrivere la depravazione della Seconda Generazione umana. Sono passate ormai tantissime stagioni, eppure lo ricordo distintamente, tanto era disgustoso. Alto e magro, soleva vestire con abiti scuri, abbinati alla sua lunga barba nera che gli arrivava, arricciata in punta, fino alla pancia. I suoi occhi erano sottili e in una perenne semichiusura, e a dare maggiore spigolosità alla sua figura ci si metteva il suo naso adunco. Era solito sorridere sadicamente, cosa che gli riusciva molto male, avendo ben pochi denti, tutti neri e rovinati.
Con la sua tribù di predoni terrorizzava tutto il Mondo conosciuto. La sua tribù vive ancora e fa paura come all’epoca, lui ormai è stato ucciso da un suo sottoposto, che ne ha preso il posto per poi essere eliminato a sua volta. »
Dilbat tacque incerto su come continuare, ma riprese quasi subito.
« Io non sono nato in questa tribù: ero il figlio del capo di una ricca comunità di mercanti che viaggiava per tutte le città della costa a vendere merci quali metalli preziosi. Ci pagavano tantissimo sale e tantissimo oro, per avere bronzo e sapere come lavorarlo bene. La mia comunità ebbe la sfortuna di imbattersi negli Aspre comandati da re Gegra in persona. Fummo depredati, e i miei genitori uccisi assieme ai miei fratelli. Sopravvissi giusto io e qualche altro membro della comunità… Questi ultimi però durarono poco: furono infatti dati in pasto vivi ai cani, per fornire uno spettacolo d’intrattenimento ai sadici e tremendi Aspre. Quei cani erano praticamente dei lupi addomesticati, resi sanguinari e selvaggi dai maltrattamenti e le denutrizioni che gli Aspre gli facevano volutamente subire per divertirsi sia sulla pelle di quelle povere bestie, sia sulla pelle dei prigionieri che venivano sbranati da queste. »
I Radei erano molto legati ai loro cani, che aiutavano a pascolare le greggi e tenevano anche compagnia, e pensare a delle bestie così inselvatichite e piene di astio verso gli uomini fu un pensiero molto disagevole per i membri della comunità
« Io divenni schiavo personale di Gegra: si divertiva a umiliare il principe della ricca comunità mercantile che aveva appena distrutto, e mi maltrattava fisicamente, arrivando anche a… possedermi carnalmente più volte. » Dilbat disse queste cose con un tremore verbale che mal celava la sofferenza che provava dai ricordi della sua esperienza alla corte degli Aspre.
« Fu durante quegli atroci mesi di prigionia che conobbi Clo. Era anch’esso schiavo di Gegra, e lo teneva con sé per fargli sollevare carichi pesanti e per divertirsi: lo trattava alla stregua di una bestia, l’aveva fatto persino marchiare a fuoco. Lui era forte e poteva opporsi al suo padrone, per questo era tenuto legato quando non lavorava.
Lo vedi quello?” mi disse un giorno il re quando entrai nella sua tenda, avendogli condotto su suo ordine Clo legato.
È l’esemplare di uomo più stupido che si possa trovare sotto il cielo. Non parla se non a mugugni! Sembra davvero una bestia, e pensa che non era l’unico così!”
Lo guardai attentamente: era ad occhio un ragazzo come lo ero io, e dovetti ammettere che il suo sguardo vuoto e perso, il labbro inferiore pendulo e il naso grosso e schiacciato non davano idea che Clo fosse un essere molto sveglio.
Seguimi, schiavo, e conduci con te la bestia. No, non intendo il mio cane, intendo quella che mi hai portato.” disse Gegra scendendo dal suo trono mobile fatto di legno e cuoio. Io obbedii e sentii attentamente ciò che mi raccontava di Clo.
Come ti dicevo, non era l’unico uomo ad essere così stupido. Lo trovammo innumerevoli stagioni fa, assieme a un’intera famiglia come lui: tutti con lo stesso sguardo idiota e la stessa stupidità. Vivevano in una grotta e cacciavano animali usando il fuoco e strumenti di legno pietra. Non conoscevano nemmeno l’uso del rame, figurarsi quello del bronzo!
Non erano prede ricche, ma li attaccammo per conoscerli meglio: erano esseri davvero interessanti e bizzarri! Dopo esserci accampati nei pressi della loro grotta e averli osservati per giorni, decidemmo di assaltare il loro rifugio. Non erano più di una decina, e non avevano armi robuste. Sarebbero stati prede facili, non avessero avuto la forza di cinque tori dentro di loro! Fu una battaglia difficile, ma il bronzo ebbe la meglio. Molti di noi si fratturarono le braccia, ma di loro una buona metà era morta! I superstiti li portammo nel nostro accampamento, e provammo a farli lottare con i cani. Ma… O bhe, lo vedrai da te.”
Quando finì di raccontare, ci arrestammo in uno spiazzo al centro dell’accampamento. Il resto dei predoni cominciò a radunarsi attorno a noi.
Ti consiglio di arretrare, schiavo!” disse Gegra tirandomi violentemente indietro.
Voglio che tu sia mio servo ancora per un po’!” disse ironicamente.
Sciogliete la bestia e liberate i cani! Stiate tutti armati e pronti a ogni evenienza! Inizia lo spettacolo…” gridò infine ai suoi sudditi.
Mi ero reso involontariamente complice dei suoi sanguinari giochi. Stavo per assistere a una carneficina, come era stata quella dei membri del mio clan! Ma le cose non andarono come credetti.
Clo fu liberato nel grande spiazzo centrale al centro del campo: i predoni erano tutti attorno a lui, in piedi, affamati d’intrattenimento. Lo sguardo che prima mi era sembrato spento e vuoto ora prendeva un’aria vendicativa: la bestia voleva ribellarsi ai suoi carnefici! Non poté fare in tempo, in quanto furono subito liberati due cani. Digiuni da giorni, assaltarono famelicamente le braccia di Clo buttandolo a terra, e nel suo sguardo lessi ora chiaramente panico. Fin qui era ciò che mi aspettavo, ma mi sorprese come Clo di scatto si fosse poi rialzato e avesse infine lottato a mani nude coi due cani, massacrandoli. I due cani erano morti, o stavano comunque per farlo. Gegra sorrise soddisfatto e anche i suoi sudditi esultarono. Vedendo che Clo stava di nuovo per assaltare i suoi aguzzini, nonostante fosse stremato, il re ordinò di liberare altri due cani
Lo spettacolo si ripeté, e sentii anche gli altri cani in lontananza piangere a vedere come i loro simili furono ridotti. Un cane scappò, era piccolo e piuttosto malmesso. Corse al centro dello spiazzo a tentare di salvare gli altri.
Era ormai troppo tardi, gli ultimi arrivati erano già morenti, con varie ferite e quasi tutte le ossa fracassate, accanto ai primi, già morti. Il piccolo pianse, leccando i corpi.
Clo stava per tornare a tentare di attaccare i predoni, ma si voltò a vedere il cagnolino piangere, e, chinatosi sull’animale, pianse anche lui.
”Ahahahah!” rise spudoratamente Gegra “Il bestione ha pietà del cane. Si rivede in lui, forse perché hanno assistito entrambi alla morte dei loro cari… O perché sono entrambi animali!”
Clo fu legato nuovamente: era esausto per la lotta, e troppo distratto dal cane.
Erano troppo pericolosi, così forti. Quando li facemmo lottare coi cani loro sopravvissero contro ogni nostra aspettativa, e per essere al sicuro dovemmo passarli a fil di spada. Salvai solo il più giovane di loro, per il semplice gusto di poter divertirmi con un essere così bizzarro!” mi spiegò infine il mio aguzzino.
Io rimasi colpito dalla sua forza, e quando poco tempo dopo decisi di scappare, lo liberai per avere il suo aiuto. Da allora mi è sempre stato affianco, e non fu mai un compagno sgradito. Eravamo grati l’un l’altro per l’aiuto reciproco che ci eravamo dati e che continuammo a darci negli anni a seguire: io l’aiutavo a farsi accettare nelle comunità umane, e lui mi proteggeva con la sua forza se qualcuno ci attaccava. »
« Venerando Dilbat » chiese Windo « Ma Clo era davvero stupido? »
Dilbat sorrise.
« Non sapeva parlare, gli diedi quel nome perché uno dei pochi suoni che riusciva ad articolare, e non aveva uno sguardo intelligente; alle volte ammetto che non sembrava molto pratico. Era prigioniero fin da bambino, e non aveva mai imparato a badare a sé stesso da solo. Però… Aveva imparato a intendere la mia lingua, e sopratutto aveva uno spiccato gusto per il bello. Non ho mai sentito nessuno suonare come lui, e, in un periodo in cui fummo ospiti in una ricca città, lui lavorò come decoratore di palazzi. Erano disegni essenziali i suoi, ma perfettamente espressivi e decorativi. Quindi, non era proprio ciò che io definirei una bestia. »
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