Pubblico qui sul blog un articolo che ho scritto per l'edizione del premio Papersera 2016, dedicato al fumettista Massimo Marconi. Questo articolo lo ho realizzato assieme al mio amico Edoardo Valeriani: abbiamo analizzato questa "parodia" a fumetti dell'Inferno di Dante Alighieri, realizzata dai fumettisti Massimo Marconi e Giulio Chierchini.
Io in particolare mi sono occupato di trovare i vari riferimenti al poema originale presenti nel fumetto.
“L’inferno di Paperino” è un fumetto uscito per la prima volta su Topolino 1654 del 9 agosto 1987. Gli autori della storia sono Giulio Chierichini e Massimo Marconi. Di Chierichini sono i disegni e la sceneggiatura, mentre a Marconi è stata attribuita la verseggiatura delle terzine in rima, che narrano la storia. La storia è una parodia della prima cantica della “Commedia” di Dante Alighieri, appunto l’Inferno: le citazioni con l’opera originale contenute nel racconto sono svariate, e le analizzeremo più avanti. Inoltre la tecnica di colorazione di buona parte della storia, quella in cui Paperino si trova all’interno dell’Inferno dantesco, è molto particolare; infatti viene utilizzato lo stile “dipinto”, inventato da Giovan Battista Carpi, a base di acquerello e aerografo, che rende le vignette molto realistiche e belle da vedere, creando un incredibile somiglianza con i cartoni animati. L’inizio della storia è piuttosto catastrofico, vediamo infatti, Paperino alle prese con lo stress che quotidianamente prova l’uomo medio, causato dall’inquinamento sia acustico che ambientale al traffico eccessivo, dalla burocrazia e dai disastri ambientali come gli incendi.
Io in particolare mi sono occupato di trovare i vari riferimenti al poema originale presenti nel fumetto.
“L’inferno di Paperino” è un fumetto uscito per la prima volta su Topolino 1654 del 9 agosto 1987. Gli autori della storia sono Giulio Chierichini e Massimo Marconi. Di Chierichini sono i disegni e la sceneggiatura, mentre a Marconi è stata attribuita la verseggiatura delle terzine in rima, che narrano la storia. La storia è una parodia della prima cantica della “Commedia” di Dante Alighieri, appunto l’Inferno: le citazioni con l’opera originale contenute nel racconto sono svariate, e le analizzeremo più avanti. Inoltre la tecnica di colorazione di buona parte della storia, quella in cui Paperino si trova all’interno dell’Inferno dantesco, è molto particolare; infatti viene utilizzato lo stile “dipinto”, inventato da Giovan Battista Carpi, a base di acquerello e aerografo, che rende le vignette molto realistiche e belle da vedere, creando un incredibile somiglianza con i cartoni animati. L’inizio della storia è piuttosto catastrofico, vediamo infatti, Paperino alle prese con lo stress che quotidianamente prova l’uomo medio, causato dall’inquinamento sia acustico che ambientale al traffico eccessivo, dalla burocrazia e dai disastri ambientali come gli incendi.
Paperino vittima del caos della società moderna, crolla in un
esaurimento nervoso, che spinge Qui Quo Qua a pagargli una vacanza in
canoa sul fiume Colorado, dove troverà la pace. Paperino una volta
in canoa inizia a leggere la “Divina Commedia” e si addormenta,
venendo catapultato nel suo inconscio, che lo porterà all’Inferno,
dove troverà e condannerà tutte le sue cause di stress, con pene
prese dall’opera originale. Paperino
incomincia il suo viaggio onirico incontrando Arkimedio Poeta,
che lo accompagnerà proteggendolo dai demoni e aiutandolo a superare
gli ostacoli. L’inferno nel quale è ambientato il fumetto è
strutturato in gironi come quello di Dante, e questi gironi che
incontrano sono:
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Gli inquinatori: Condannati a vagare in un turbine di vento infinito, insieme ai rifiuti che in vita avevano in terra gettato, insudiciando il suolo. Questa pena corrisponde a quella in cui sono condannati nel poema i lussuriosi, anche loro costretti a essere trasportati senza controllo dal vento, come in vita si lasciarono trasportare dalle passioni.
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Gli abusatori di burocrazia: Obbligati a ricevere sonore “timbrate" e ad esser trasformati in carta bollata, con la quale in vita avevano perseguitato la gente. Questa pena, però non viene riscontrata nell'opera originale.
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I piromani: Trasformati in alberi arsi dalle fiamme sputate dalle feroci “Erinni” come loro avevano bruciato interi boschi danneggiando gravemente l’ecosistema. A una pena simile, nel poema, sono condannati i suicidi, che non seppero aver cura del proprio corpo.
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I “condannati patentati”: In questo girone sono racchiusi due “sotto gironi” che si possono dividere in “Automobilisti accaniti”, puniti portando le auto, dalle quali erano dipendenti, in spalla e in “Pirati della strada”, condannati a essere inseguiti e investiti da automobili demoniache. La prima di queste due pene trova sì riscontro nell’opera di Dante, ma non nell’Inferno, bensì nel Purgatorio ove gli “Automobilisti accaniti” corrispondono alle anime dei superbi nel purgatorio, che devono portare macigni per espiare le proprie colpe, mentre i pirati della strada, sono vagamente riconducibili agli ignavi, che stanno nell’Antinferno, i quali non presero mai decisioni nella loro vita, tanto da non meritare né l’inferno, né il paradiso, e sono costretti ad inseguire un vessillo per non essere punti da delle api.
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Il giudizio dei dannati: Qui troviamo Belzebù un demone che esamina le anime dei dannati e le distribuisce nei vari gironi, ovvia parodia del giudizio di Re Minosse che secondo Dante sarebbe il giudice dell’inferno. Una cosa curiosa è il fatto che Belzebù viene collocato più o meno al centro dell’inferno, non come Re Minosse che nell’opera vera viene posto, logicamente, all’inizio.
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I teleradiodipendenti: Condannati ad essere accecati, assordati e malmenati degli strumenti elettronici dei quali in vita avevano abusato creando non pochi disturbi; anche questo girone come quello degli “abusatori di burocrazia” non trova riscontri con il poema di Dante.
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I golosi: Arriviamo ad un girone che è realmente presente sia in questa parodia che nell’inferno vero, ossia i golosi, che qui vengono condannati sì a stare immersi nel fango, ma ad ingurgitare continuamente olio di ricino, mentre nell’ opera di Dante sono costretti, oltre a stare sommersi nel fango, a essere esposti alle intemperie
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I taccagni: Veniamo dunque all’ultimo girone, anch’esso presente sia nell’una che nell’altra opera. I “taccagni” di Marconi e Chierichini, sono costretti a gettare nella bocca di un vulcano sacchi pieni d’oro, quell’oro che in vita con estrema avidità avevano conservato, mentre gli avari di Dante sono costretti a trasportare grandi pietre e ad insultare i prodighi e a loro volta venire insultati dagli stessi.
Si
conclude quindi il racconto con l’uscita di Paperino che salutando
Arkimedio si allontana lungo
il fiume,
risvegliandosi di nuovo in una disavventura. Massimo Marconi si è occupato in particolare della verseggiatura,
dove possiamo trovare molte citazioni esplicite all’opera di Dante,
anche se spesso i versi citati sono rimaneggiati e
decontestualizzati: così abbiamo la terzina “Quali
pollastri dal disio chiamati/seguitaron quei due il loro
andare/verso
altro luogo e altri condannati”
che cita evidentemente “Quali
colombe dal disio chiamate/con l'ali alzate e ferme al dolce
nido/vegnon per l'aere, dal voler portate”
(Inferno, canto V,
82-84), oppure
il famosissimo incipit “Nel
mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura,/ché
la diritta via era smarrita.”
(Inferno, canto I, 1-3) (che viene inoltre parzialmente citato in
maniera corretta in un altro punto del fumetto) diventa “Nel
mezzo del cammin del fiume cupo,/lo letto s’immettea in antro
oscuro/che
dall’aspetto parea
bocca di
lupo.”. Questo
citare e rimaneggiare i versi originali del poema riesce nell’intento
di far sembrare la verseggiatura come scritta nel XIV secolo. Altri
parallelismi col poema si riscontrano nei personaggi che incontra
Paperino nel suo viaggio. Il famoso ruolo di “Cicerone” ricoperto
da Virgilio
è occupato da
Arkimedio, il cui abbigliamento ricorda più quello di Dante che
quello di un antico romano. Curioso è il fatto che Virgilio,
che nel poema
rappresenta la razionalità che guida l’uomo (Dante), qui venga
proprio interpretato da Archimede, che di razionale ha di fatto poco
o nulla, al contrario di Pico de’ Paperis. Paperino e Arkimedio
incontreranno anche Caronte, che fa anche qui il traghettatore di
anime, solo che lo fa con una nave di lusso e si diverte a martellare
i dannati (divertente è la terzina “Sul
ponte di comando del naviglio,/Caron diomnio cogli occhi di
bragia,/batte lo martellon… piglio chi piglio”
che rimanda al canto III dell’Inferno, versi 109- 111,
“Caron
dimonio, con occhi di bragia,/loro accennando, tutte le
raccoglie;/batte col remo
qualunque
s’adagia.”),
mentre Paperino da solo incontra quello che sembra essere Pluto, che
dice “Paper Satàn,
paper Satàn Paperino”,
rimando all’oscura frase che dice nel primo verso del canto VII,
ovvero “Pape
Satàn, pape Satàn
aleppe!”.
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