Non potendo trascrivere tutte le 100 pagine, ho riassunto molto la favola, concentrandomi anzi molto di più sull'inizio, e tralasciando molto la parte centrale e la fine, che ho liquidato in poche righe. Spero sia venuto bene, ditemi assolutamente cosa ne pensate!!
C'era una volta in un regno del Catai un giovane di nome Aladino. Viveva in misere condizioni economiche; in precedenza il padre aveva un bottega di stoffe, e aveva tentato, durante l'infanzia di Aladino, ad insegnare al figlio a gestire l'attività: questo intento però non andò in porto in quanto Aladino, ogni volta che era nella bottega, scappava, andando a giocare con gli amici in strada. Questa cosa faceva soffrire talmente il padre che ne morì di dispiacere. Alla morte del genitore la famiglia perse la bottega, rimanendo così in indigenza economica. Aladino, comunque non restava mai troppo tempo in casa, forse per la voglia di giocare fuori, o forse perché la casa era così mal ridotta da rendere triste persino lui: più che casa, bisognava definirla capanna, o ancora baracca. Di misere dimensioni, aveva un'unica stanza, dentro cui c'era solo un tavolo con due sedie, una per Aladino e una per la madre, e qualche stoffa ripiegata in terra, che veniva utilizzata come giaciglio per riposarsi la sera. La casa aveva un'unica finestra, priva di tenda, e un'entrata, chiusa non da una porta ma da una tela. Un giorno, mentre Aladino era a giocare con gli amici, si trovò davanti ad un'uomo di aria straniera, mai visto prima nella città e vestito con degli abiti strani. Questi lo stette ad osservare con aria interessata per alcune ore, poi, in tardo pomeriggio venne da lui a parlargli.
<< Tu devi essere Aladino! Tuo padre mi parlava molto di te nelle sue lettere! Sei identico a lui, sai? Come sta, anzi? È parecchio tempo che non lo sento! >> disse.
<< È morto tre anni fa >> rispose il ragazzo.
L'uomo assunse un'aria disperata, triste, forse troppo. Cominciò a raccontare ad Aladino di come lui fosse il fratello di suo padre, cioè suo zio. Aladino rimase stupito da tali affermazioni, in quanto quel signore era totalmente diverso da lui.
Aveva una pelle molto scura, e i capelli neri legati in una treccia sulla parte sinistra delle testa. I suoi occhi erano perfettamente rotondi, e il naso non era troppo schiacciato. Più che cinese pareva africano. Vestiva in modo singolare: una tunica rosso sangue, e sotto di essa, indossava dei pantaloni neri.
Aladino rimase turbato da quell'uomo e dai suoi modi di fare: aveva un comportamento esagerato, teatrale tanto da sembrare falso, e i suoi occhi avevano un'espressione tanto avida quanto agitata.
Aladino si lasciò comunque convincere dall'uomo, in quanto sapeva tante cose sul conto del padre che una persona totalmente estranea non poteva sapere. Quell'uomo non era affatto lo zio di Aladino, ma un negromante venuto nel Catai dal Magreb in cerca di un'oggetto magico che gli avrebbe dato l'onnipotenza. Aveva visto in Aladino la persona che sarebbe stata in grado di portargli quell'oggetto, e aveva passato tutta la giornata ad informarsi su di lui per ingannarlo.
Nei giorni successivi convinse la madre e Aladino a far diventare quest'ultimo un mercante itinerante di stoffe, e per convincerli li colmò di doni, tra cui sfavillanti vestiti di seta, variopinte e con tonalità accese, che facevano parere Aladino quasi un nobile.
Persuase Aladino a seguirlo in un lungo viaggio per commerciare stoffe, ma, stranamente, per tutto il viaggio lo "zio" non volle fermarsi mai a vendere nei villaggi che trovavano lungo il cammino, diceva di aspettare di raggiungere una fantomatica città oltre le montagne per avere più lauti guadagni.
Più avanzavano più si allontanavano però dai centri abitati, e il paesaggio diventava più inospitale. I campi coltivati sparivano, lasciando posto ad un terreno desolato e arido, bruciato dal sole. I sentieri di terra battuta li avevano lasciati miglia addietro, e non incontravano nemmeno da giorni una capanna abbandonata. Insomma, attorno a loro non c'era che quella specie di deserto a perdita d'occhio e i monti, che sembravano sempre più vicini. Dopo tre giorni di marcia riuscirono a raggiungere i pedi del monte più alto. Sembrava un'oasi, contrastava molto col deserto alle loro spalle: palme rigogliose ed erba alta, ma nessuna traccia di acqua. Aladino era piuttosto assetato, e lo stregone gli promise dell'acqua se in cambio si fosse calato in una grotta a prendergli una cosa; il ragazzo ricevette le istruzioni, e lo zio fece comparire dal nulla l'apertura di una spelonca, spaventando il nipote che entrò titubante. Dentro Aladino vide cose meravigliose, ma che per la giovane età non riusciva ad apprezzare troppo: avrebbe preferito di gran lunga trovare del cibo o dell'acqua, e invece si imbatté in un frutteto di alberi stregati, che generavano gioielli al posto dei frutti; il ragazzo tentò pure di addentarne uno, rischiando quasi di rimetterci un dente. Ne prese comunque alcuni, dato che lo attiravano per la loro luminosità, e li mise sotto la maglia. Dentro la grotta scorreva anche un torrente con un liquido color giallo: lo zio gli aveva detto di evitarlo ad ogni costo, di non immergersi e di non berne l'acqua. Era infatti un torrente di oro fuso, qualora ci si fosse immerso, la parte nel liquido sarebbe stata tramutata in oro, e se lo avesse bevuto sarebbe stato velenoso per lui.
Aladino dopo alcune ore riuscì a scoprire perché il mago voleva il lume: esso nascondeva in realtà un genio, dagli immensi poteri cosmici e capace di qualunque cosa. Con l'aiuto di questa entità riuscì a scappare dalla grotta, diventare ricchissimo e a sposare la figlia dell'imperatore. Ma il negromante e il fratello di quest'ultimo erano in agguato.
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