Disse Ulisse (o meglio, Dante)...

"Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza"

mercoledì 21 marzo 2018

La solitaria spiaggia bianca


Una ragazza passeggia in cerca di ispirazione e relax in una spiaggia isolata, dove sia la spuma delle onde sia la sabbia è bianca come il ghiaccio.























Un gradino alla volta lo spesso scarpone marrone scese la scalinata, finché la suola alta non si posò sulla sabbia compatta. Nel silenzio della spiaggia isolata si sentiva solo il continuo mugghiare delle onde e del vento: le gambe che camminavano verso il mare, con i loro scarponi e le loro calze viola che le coprivano fino alle ginocchia, non facevano il minimo rumore. Queste, così affusolate, lisce e dolci, erano inequivocabilmente quelle di una ragazza: lo si poteva anche capire dalla gonnellina azzurra che copriva le cosce e dalla camicetta da donna color ocra con pois verdi subito sopra. La ragazza si arrestò a non più di dieci metri dall’acqua, ammirando la bianca spuma del mare che si infrangeva sull’altrettanto bianca e finissima sabbia.
Poteva contemplare anche a occhi chiusi un rimescolio continuo di acqua e di aria, udendo il brusio delle onde e percependo il vento gelido impattare sulle sue labbra carnose per poi ingolfarsi nei ricci capelli neri, che si gonfiavano a seguendo i soffi del maestrale.
Clarissa Luna si sedé pacatamente poggiando una mano sulla sabbia e posando con delicatezza la sua borsa fucsia con l’altra. Il suo sguardo si diresse sovrappensiero nuovamente sulla sabbia che rifletteva la fredda luce del sole mattutino di febbraio.
Lo stress aveva appesantito la sua mente che ora si trovava priva di qualunque ispirazione artistica: svagarsi con una giornata al mare avrebbe potuto giovarle dando nuova linfa al suo spirito. Sospirò e guardò in basso, verso le sue gambe distese. Con gli occhi percorse le lunghe calze viola e gli stretti scarponi marroni: decise di liberarsi di un peso e si tolse sia le une che gli altri, restando a piedi nudi. Finalmente sentì una sensazione di pace appoggiando i piedi non più occlusi sulla sabbia.
Infilò una mano nella borsa, in cerca di qualcosa. La svuotò quasi del tutto, perché non trovò subito ciò che voleva: una lunga e appuntita matita, un quadernino e una macchina fotografica.
Fece un profondo sospiro e assaporò l’odore di salsedine che impregnava quell’aria fredda. La spiaggia era deserta, c’era solo lei e poteva davvero sentire solo il respiro della natura.
Con la macchina fotografica iniziò a far foto di ciò che aveva vicino: un gabbiano che con pigrizia passeggiava sulla battigia, le onde che esplodevano e collassavano e il bianco cielo coperto di nuvole. Guardava sullo schermo ciò che aveva fotografato e sul quadernino appuntava le sensazioni che quelle immagini le trasmettevano: le sarebbe servito tutto per il dipinto che spasmava dalla voglia di fare da ormai un mese, per il quale però non riusciva a trovare mai né l’ispirazione né il momento adatto.
Posò la fotocamera sulla sabbia e guardò verso destra, da dove aveva sentito delle voci. Due ragazze stavano facendo jogging e chiacchieravano correndo sulla spiaggia. Con le loro tute sportive e i loro capelli smossi dalla corsa passarono tra Clarissa e il mare, aggiungendo le loro parole e le loro risate all’ambiente. Clarissa sorrise e si pentì di non aver fotografato la scena, che però si appuntò subito nel quadernino prima che la sua memoria l'offuscasse. Le guardò poi mentre le davano le spalle continuando a correre. Sospirò di nuovo. Mise nervosamente a posto gli oggetti che aveva tolto dalla borsa, compresa la macchina fotografica, tenne fuori solo quaderno, matita e cellulare.
Aveva ricevuto molti messaggi da gruppi WhatsApp e li lesse con noia, gettando di tanto in tanto un’occhiata di nuovo alle onde, il cui suono stava diventando per la sua testa sempre meno penetrante, fino quasi a sparire in mezzo a tutti quei messaggi, quegli audio e quelle gif buffe. Arrivata all’ultimo messaggio non rispose: non sentiva il motivo non trovando in tutte quelle chat nulla che l’avesse davvero interessata. Cacciò in borsa anche il telefono e cercò di concentrarsi di nuovo sui suoni di quel posto così isolato e silenzioso.
Chiuse gli occhi e immerse i piedi nella tiepida sabbia, ma sentiva solo un leggero mal di testa. Seccata, si sdraiò supina, appoggiando una mano sui granelli e una sul ventre. Sentì la sabbia finirle trai ricci e il suono del mare divenne più forte, così come quello del vento. I flussi di acqua e aria, continui, fusi e indefiniti, la cullarono come fossero i rumori ovattati del ventre materno. Per qualche minuto si assopì. La pervase una fresca onda di piacere: le dita della sua mano, intorpidite, si distendevano perdendo tensione; le labbra spesse allentarono la loro chiusura, aprendo uno spiraglio. L’aria gelida soffiava sui suoi vestiti e sulla sua pelle: tremò, ma il freddo appesantì il suo sonno, aumentando la freschezza dell’onda di piacere.

Il tuono di una moto nella strada sopra la spiaggia rovinò il momento magico: Clarissa si svegliò di soprassalto, imprecando, girandosi nervosamente verso la fonte del rumore.
Innervosita sbuffò e prese dalla borsa un malconcio pacchetto di sigarette, ne estrasse una, la mise una tra le labbra e l’accese. Diede pochi tiri, poi la gettò tra le sempre più alte onde. Tornò a sdraiarsi, stavolta in una chiusa posizione fetale. Il vento stava aumentando la sua energia e il suo rimbombo diventava sempre più penetrante. Tuttavia la pittrice non percepì troppo questo mutamento, essendo tornata a guardare il cellulare. Scrollava la bacheca di Facebook, dove vedeva con ammirazione disegni e foto di altri suoi amici artisti molto ispirati e capaci, sorrideva per meme particolarmente riusciti e lasciava partire automaticamente video, mollandoli, annoiata, dopo pochi secondi. Difficile dire quanto tempo passò così: smise solo nel momento in cui, probabilmente complice la posizione, le tornò il leggerlo mal di testa. Una sensazione negativa di torpore e ineluttabilità la stava circondando. Si alzò a sedere sulle sue caviglie, corrucciata. Prese nuovamente il quadernino, l’appoggiò sulle gambe e lesse le varie sensazioni trascritte.


Un gabbiano con calma passeggia sulla spiaggia. Non cerca nulla, solo svolazza di qualche metro quando l’acqua del mare salendo lo raggiunge: probabilmente ha già mangiato e ora passa il suo tempo a rilassarsi.

Alle onde non importa del gabbiano, lo assalgono senza nessun motivo: seguono semplicemente la loro strada e lui deve adattarsi a loro. Esplodono in mille schizzi, implodendo su loro stesse: due azioni totalmente contrarie e conseguenti.

Il cielo è bianco, è di ghiaccio, e il suo gelo pervade per riflesso su ciò che ha sotto di sé: atmosfera, acqua, sabbia e me medesima. Il gelo mi avvolge.


Due ragazze corrono ridendo, sventolando all’aria i loro lunghi capelli biondi e castani. Sono vestite molto leggere, con delle succinte tute sportive nere e scollate che lasciano scoperte gambe, avambracci e ventre. Parlano, sono evidentemente divertite! Non sentono il gelo che le avvolge, il moto scalda i loro corpi.


Clarissa, coi suoi larghi occhi verdi, fissò a lungo la pagina. Si circondò con entrambe le braccia il ventre e si strinse, come a cercare un abbraccio. Emise un veloce e soffocato lamento.

«Sono fottutamene sola.» bisbigliò a sé stessa trattenendo le lacrime.

Con la robusta e lunga matita scrisse velocemente un ultimo appunto.


Le due ragazze erano scaldate nell’animo anche dalla compagnia reciproca. Io, sola davanti all’immensità, non sento che il gelo che è sia attorno a me che dentro di me. Sono troppo fredda con le altre persone? Non lo so, ma so certamente che sono troppo solitaria e sbaglio qualcosa nel rapportarmi con gli altri. Sento che solo dipingere sfoga le mie frustr


Le parole che stava scrivendo erano troppo pesanti: lasciò perdere e, con la rabbia generata dalla frustrazione, conficcò violentemente la matita nella dura sabbia.
Doveva sfogare le tensioni che portava dentro, ci voleva un gesto estremo e simbolico che le desse una scossa adrenalinica capace di scaricare la negatività. Un bagno nel mare le sembrò la soluzione migliore, si sarebbe avvolta totalmente nel gelo finché non avrebbe dovuto uscirne con la sua volontà.
Si sbottonò freneticamente la camicia, ma quando se la tolse avvertì una tremenda sensazione di congelamento: d’altronde era un ormai tardo mattino di febbraio e si trovava in mezzo a forti scariche di vento. Raggelata e spaventata, si rivestì immediatamente, rimettendosi anche calze e scarpe, e rinunciò nel suo nevrotico intento. Doveva essere arrabbiata con sé stessa per la sua mancanza di coraggio? Non voleva pensarci.
«Basta, me ne vado dalla spiaggia, star qui da sola peggiorerà solo la situazione!» pensò ficcando in borsa cellulare, quadernino e matita.
«Andrò in un bar a bere qualcosa. Stare in mezzo alle persone migliorerà le cose. Chissà, magari potrei conoscere qualcuno di nuovo…» fantasticò l’artista, di nuovo in piedi, mentre si avviava alla scaletta.


Nessun commento:

Posta un commento

Disse Anton Ego...

"Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale."