Disse Ulisse (o meglio, Dante)...

"Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza"

lunedì 26 giugno 2017

Piccolo Kalbu

Ho pubblicato qualche settimana fa il racconto "Probabilmente, l'ultimo dei primi uomini". Il testo che segue riprende le vicende del capo-tribù Dilbat e della sua avventurosa giovinezza alla corte del terribile re Gegra dei predoni Aspre. Ringrazio Andrea Cuozzo per i suggerimenti che mi ha dato nel migliorare la scrittura.




I Radei si erano stabiliti da alcune settimane in una verde pianura attraversata da un fresco ruscello, e lì portavano le loro greggi al pascolo.
La piccola Windo conduceva alcune pecore nelle praterie nei pressi dell’accampamento, accompagnata da Ei, uno dei tanti cani della tribù. Le pecore brucavano tranquillamente l’erba, senza disperdersi più di tanto. La presenza di Ei, che doveva recuperare gli animali in caso scappassero, era quasi superflua. Anche Windo non faceva molto, e si annoiava. Inoltre si distraeva facilmente, avendo altri pensieri per la testa.
« Mi chiedo come faccia tu ad essere così tranquillo! » disse la ragazzina, stupita, a Ei. Il cane la guardò confuso.
« Stai per diventare papà! Sono settimane io che aspetto con ansia la nascita dei cuccioli tuoi e di Bon. Sono più preoccupata più io di te! I miei genitori mi hanno costretta a portare comunque le pecore a mangiare, però ho paura che mentre sono qui Bon partorisca senza di me... »
Ei cominciò ad abbaiare, in direzione del’accampamento. Le capanne erano ormai all’orizzonte, ma alcune venivano coperte da una macchia bianca informe che veniva loro incontro, allarmando il cane.
« Sta buono, Ei! » rise Windo « È solo un altro gruppo di pecore… Uh, ma quello che le guida è Pentium! »
« Windo! » gridò il ragazzino, avvicinandosi.
Pian piano i due greggi si unirono, e i due ragazzini si incontrarono.
« Pentium, ma… Non dovresti condurre gli animali assieme a Bon? » chiese Windo, vedendo il suo amico senza nessun cane.
« Dovrei, ma mentre stavo partendo si è sentita male. Secondo la vecchia Adi sta per partorire. Tanto queste pecore sono buone e non scappano, non c’è quasi bisogno dei can… »
Windo si alzò di colpo.
« Bada tu alle mie pecore, lascio Ei ad aiutarti. »
« Aspetta, dove vai? »
Windo aveva già cominciato a correre verso le capanne.
« Ad aiutare Adi a far nascere i cuccioli! » disse lei voltandosi verso l’amico, senza fermarsi.
Adi era la prima moglie di Dilbat, il capo-tribù, e la sua capanna era alla periferia del campo. Orma in là con gli anni, era esperta nel curare sia gli animali che le persone, e era sempre lei che si occupava di far vedere la luce ai nuovi nati.
Windo era arrivata alla sua capanna in fretta, dopo una corsa estenuante.

« Windo! » esclamò preoccupata la vecchia uscendo dalla sua capanna. La ragazzina era senza fiato: respirava affannosamente ricurva, con le mani appoggiate alle ginocchia.
« ANF! Adi… Mi hanno detto che Bon si è sentita male e stava per partorire… Sono venuta a… ANF… Darti una mano… » disse la piccola.
« Vieni dentro, hai corso troppo! Ti do qualcosa che ti farà star meglio. »
La capanna non era molto grande, e dentro c'era più fresco che fuori, essendo buia e all’ombra. La luce entrava giusto dall’entrata, e illuminava una stuoia, dietro la quale, appoggiata a una parete, Bon stava sdraiata a terra e distrutta dal parto, intenta a leccare alcuni dei sei piccoli cuccioli rosa accanto a lei.
« Sono già nati! » osservò delusa Windo.
« Ha fatto tutto da sola e in fretta, poco dopo che Pentium è partito. Siediti pure sulla stuoia e riposati un attimo, mentre preparo qualcosa. »
Mentre Windo si sedeva, Adi aveva già sminuzzato alcune foglie in una scodella alta in rame, e l’aveva riempita d’acqua.
« Tieni, bevi! » disse Adi, porgendo alla ragazzina la scodella.
« È una delle tue pozioni magiche? » domandò la piccola, bevendo.
« Ahahah! No, è solo acqua con foglie di menta. Rinfresca e disseta! Ti farà stare subito meglio. » rispose la vecchia.
La luce proveniente dall’ingresso fu oscurata, annunciando la presenza di qualcuno: Dilbat stava entrando nella capanna di sua moglie.
« Ero venuto per vedere la nuova cucciolata di cani, e invece trovo una bambina che ha corso troppo! » disse scherzosamente il capo-tribù.
« Io sto già meglio! Volevo dare una mano per far nascere i cuccioli, però sono arrivata troppo tardi… Sei venuto per dare un nome ai nuovi cani? »
« Oh, quello lo farò tra qualche giorno, prima devo pensarci un po’! Volevo vedere se stavano tutti bene. I cani solitamente partoriscono da soli, non hanno bisogno di molto aiuto, bastava solo Adi. Però apprezzo la tua dedizione… Ti do il permesso di scegliere il nome di uno di loro! »
« Grazie, venerando Dilbat! » disse gioiosa la piccola Windo « Dovrò pensarci anche io un po’, però… »
« Non c’è problema. Ti anticipo anche che stasera racconterò una storia a tema cani! » sorrise Dilbat.
Windo andò ad accarezzare Bon. Le due erano molto affezionate e, ancora a pezzi per il parto, rispose alla carezza leccando la mano della ragazzina.


I Radei a sera si erano riuniti attorno al fuoco, in attesa della quotidiana storia di Dilbat.
Il capo-tribù si era messo accanto al falò, e stava in silenzio: cercava con lo sguardo Windo, e, quando la trovò, sorrise. Iniziò a parlare: « Come avrete saputo, oggi Bon ha dato alla luce sei cagnolini! Da quando sono entrato a far parte dei Radei non so quante cucciolate siano nate, ma so per certo che tutti i cani della tribù attualmente discendono da un unico progenitore. Pochissimi di voi l’avranno conosciuto, ma io ho avuto questa fortuna. Quel cane si chiamava Kalbu: era intelligentissimo e molto resistente, temprato dalle privazioni che aveva subito presso la corte di Gegra, re degli Aspre. Fu lui ad aiutare me e Clo, il mio fedele compagno, probabilmente l’ultimodei Primi Uomini, a fuggire da quella tribù abominevole e sanguinaria. »
« Io lo ricordo! » intervenne uno degli anziani « Ero piccolo, ma ricordo che era molto affettuoso. Aveva un pelo grigio folto, non aveva un occhio e, nonostante fosse ormai vecchio, era molto operoso e sapeva guidare le pecore senza problemi. Quando morì Clo pianse molto. »
Riprese Dilbat:
« Già, Clo c’era molto affezionato. Dopo la sua morte si chiuse in sé stesso e iniziò a uscire poco dalla sua capanna. I due avevano condiviso lo stesso passato: erano stati maltrattati dagli Aspre, ed avevano visto i loro cari morire atrocemente. Fu proprio Clo ad essere autore delle atrocità, in questo caso.
Vi raccontai tempo fa quando conobbi Clo: eravamo entrambi prigionieri di re Gegra, e quest’ultimo l’aveva fatto lottare con quattro cani. Clo era forte, e li aveva uccisi tutti. Il piccolo Kalbu era scappato da un gruppo di altri cani per aiutare quei poveri sfortunati, ma era arrivato tardi e loro stavano già morendo. Kalbu e Clo piansero insieme, il primo per la scena a cui aveva assistito, il secondo empatizzando con lui. Gegra fece imprigionare nuovamente il Primo Uomo, e bastonò sul momento la povera bestia, davanti a tutti, nello spiazzo dove era avvenuta la lotta. Lo percosse con violenza sulla schiena e sulla testa. Fu dopo di questo che perse il suo occhio. Su ordine del re, dovevo recuperarlo esanime dal terreno, e trasportarlo fino al recinto dei cani. Lo raccolsi e lo portai in braccio. Lui si lamentava di tanto in tanto, guaiva per le ferite sanguinanti. Mi faceva compassione, e lo portai nella mia capanna: lui aveva provato compassione dei suoi simili, ma avevo seri dubbi sul fatto che i cani nel recinto avrebbero fatto lo stesso: digiuni da giorni, si sarebbero approfittati della sua condizione debole e lo avrebbero probabilmente mangiato. Nessuno si accorse di niente: Kalbu era diventato silenzioso, e aveva paura di uscire da lì: era poco più di un cucciolo, ed era rimasto traumatizzato. Per moltissimi giorni rimase nascosto nella mia tenda, dove gli davo una parte del mio cibo. Si riprese in fretta, le ferite si rimarginarono ma purtroppo l’occhio era ormai perso; riuscì persino ad irrobustirsi. Si era affezionato a me, e io a lui. Lo chiamai Kalbu, che in una lingua di una terra lontana che visitai quando ero ancora con la mia tribù originaria, significa "cane". Lui non aveva nessuna intenzione di uscire dalla capanna: stava da solo il dì, e la notte ci facevamo compagnia. Su ordine di Gegra io dopo il tramonto dovevo stare confinato nella tenda e non uscire per nulla al mondo. Mi veniva dato un rancio per non morire di fame e poi non potevo più uscire fino all'alba; una guardia rimaneva fuori dalla capanna a controllarmi. Mangiavo assieme al cane e passavo le sere con lui: ci eravamo abituati a questa routine.
A spezzare le nostre abitudini ci pensò Fia, il fratello di Gegra. Molto dopo i combattimento di Clo si stava tenendo un banchetto per il compleanno del re. Era una cena ricca, a base di carne di animali razziati nelle città vicine. All’inizio della festa, ancora prima che il sole calasse, Fia porse una scodella con del vino a suo fratello. Gegra ne bevve un sorso, sputandolo subito: aveva sentito un sapore strano. La rabbia prese il controllo della sua anima, e, gettando a terra la scodella tirò con violenza a sé il fratello.
“Tu… Tu mi volevi avvelenare. Ho sentito il sapore adulterato. Tu ti sei sempre occupato di avvelenare le fonti d’acqua vicine ai villaggi, sei esperto.”
Gegra era furente, e la furia aiutò la sua reattività e la sua forza. Riuscì a bloccare la mano del fratello, che repentinamente, armata di pugnale, si stava avvicinando al suo fianco.
Una decina di Aspre allora cominciarono una rissa armata, con l’intento di rovesciare il regno di Gegra, ma erano solo una minoranza. Approfittando della confusione molti dei servi fuggirono… Ma non io. Ero giovane, e il caos e la furia mi avevano messo nel panico: ero paralizzato. Mi tenni nascosto dietro al trono di cuoio e legno ora vuoto di Gegra, e assistetti passivamente a tutta la battaglia, che si risolse non troppo in fretta: i ribelli erano armati, il resto dei predoni invece no. Inizialmente ebbero la meglio, nonostante la schiacciante inferiorità numerica, ma poi, attratte dal baccano, tutte le sentinelle nella periferia del campo accorsero, e un po’ dopo il tramonto la ribellione era stata domata: i colpevoli furono legati e portati davanti al sovrano. Al cospetto di Gegra ci fu un processo sommario. Io ero uno dei pochi servi rimasti, e mi maledicevo per il fatto di non essere riuscito a scappare quando potevo.
Il re però era soddisfatto e compiaciuto della mia “fedeltà”. Era evidente che aveva capito come mai ero rimasto lì, e che mi stava schernendo.
Il processo ai ribelli fu veloce: Gegra era deluso del tentato colpo di stato, e l’unica sua incertezza fu nel cercare una pena che fosse abbastanza crudele e sadica per eliminare Fia e i suoi seguaci.
“Fia, fratello mio, sei pur sempre membro della famiglia reale, non posso condannarti ad essere sbranato dai cani. Il resto del tuo seguito potrebbe, ma voglio concedere anche a loro i tuoi stessi privilegi. Avete interrotto il banchetto per il mio compleanno, quindi decreto che tra tre giorni ce ne sia un altro per rimediare. Da qui al prossimo banchetto voi riceverete porzioni triple di cibo: voglio che gli Aspre mangino carne grassa.”
Quella notte non tornai alla tenda: fui incaricato di togliere i corpi dei caduti durante la rissa e di portarli su un carro, e poi di ripulire dal sangue il tendone dove c’era stata la rissa. Ci vollero ore, tornai alla mia tenda solo verso l’alba.
Kalbu si era preoccupato non vedendomi tornare. Per giorni e giorni non era uscito dalla tenda, ma, vedendomi tardare così tanto, si era fatto coraggio ed era uscito, cercandomi. Non so dove fosse andato, ma so solo che quando tornai non lo trovai. Ci rimasi molto male, era l’unica compagnia che avevo in quell’accampamento di mostri.
Passarono tre giorni e ci fu il nuovo banchetto. Dovetti assistere all’esecuzione, ma non volli prendere cibo: quel che avevano cucinato mi faceva ribrezzo.
“Meglio così, più cibo per noi Aspre” aveva commentato sputacchiando il mostruoso sovrano, già mezzo ubriaco.
Il sole tramontava, e io stavo per tornare alla mia tenda. Avevo il re alle mie spalle. Vidi qualcosa sfrecciarmi accanto velocemente, poi sentii l’urlo di terrore di Gegra. Mi voltai e vidi che un cane aveva assalito e buttato a terra il re, accanendosi sul suo volto. Gli Aspre accorsero subito ad aiutare il loro capo, ma io stavolta non mi lasciai prendere dal panico: corsi fin verso il recinto dei cani e aprii il cancello: non aspettavano che essere liberati. Come al solito i loro padroni li avevano fatti digiunare per giorni, e dovetti scansarmi in fretta per non essere assalito da quelle bestie. Per fortuna si dimenticarono in fretta di me, che nel frattempo ero andato a slegare Clo per avere la sua protezione, e corsero subito nel tendone dove stava avvenendo il banchetto.
Non capivo come avesse fatto a scappare quel cane che aveva per primo assalito Gegra. Poco dopo trovai risposta: quel cane era Kalbu. Evidentemente per tre giorni era stato nei pressi dell’accampamento a cercarmi, poi, non trovandomi, era tornato al villaggio e aveva assalito quello che l’aveva accecato a un occhio.
Kalbu era riuscito a scappare dal tendone appena prima che gli altri cani entrassero. Alcuni… “uomini”, sempre se si potranno definire davvero tali quelle bestie degli Aspre, lo stavano seguendo, ma furono assaliti dagli altri cani. Vidi questo in lontananza. Kalbu vedendomi corse da me. Zoppicava, lo presi in braccio e fuggimmo assieme a Clo. Dopo ore di corsa ci fermammo, stremati, vicino a un fiume. Mentre ci riposavamo, notai che aveva in bocca qualcosa che stava sgranocchiando: gli porsi la mano e lui, fidandosi di me, ci sputò sopra ciò che aveva in bocca: era un occhio umano. Kalbu evidentemente aveva avuto la sua vendetta contro Gegra.
Quella notte io, Kalbu e Clo trovammo la libertà. Chi di voi si ricorda di lui, sa che era un cane affettuoso con tutti, ma inizialmente lo era solo con me. Diffidava degli altri umani, anche e soprattutto Clo. Fu una convivenza difficile all’inizio la nostra, ma riuscì col tempo a diventare un altro cane, fiducioso verso l’uomo.
Mi seguì quando mi introdussi nella comunità radea, e qui ebbe così tanti cuccioli che tutti i nostri cani oggi discendono da lui. Morì tantissime stagioni fa, e nessun altro cane ha saputo prendere il suo posto nel mio cuore. »
Windo aveva ascoltato con passione tutta la storia, e aveva deciso come chiamare uno dei nuovi cani… Piccolo Kalbu.

Disegno di Elisa Tadiello



2 commenti:

  1. La tua storia mi è piaciuta moltissimo, complimenti. Sei riuscito a farmi immergere nella storia e a descrivere perfettamente ogni cosa come se l'avessi vissuta, bravo

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    1. Grazie mille, sia per la lettura che per il commento! Commentano davvero in pochi, mi farebbe piacere lo facessero in più persone!

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Disse Anton Ego...

"Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale."