Mediamente 33 chilometri orari in un tubo di vetro, sotto le strade della città. Una stazione al minuto senza l'ausilio di pilota umano, in balìa dell'Intelligenza Artificiale, questo almeno finché la metropolitana non si blocca per indefiniti guasti e bisogni di manutenzione, cosa che succede almeno una volta al giorno negli ultimi anni. Come una piccola Pandemonio la stazione del metrò di Porta Nuova è brulicante di persone: chi sale di corsa per non perdere il treno per Salerno, chi invece vuole arrivare in fretta in Piazza XVIII Dicembre e si precipita giù per le scale per riuscire a salire prima che si richiudano i portelloni, incuranti dell'acuto che gli intima di non entrare per evitare di venir pinzati dalla chiusura automatica. Questi, impazienti, non lasciano nemmeno scendere i passeggeri e passano loro davanti, intasando ancora di più il mezzo. Io scendo appena in tempo e i portelloni mi si serrano alle spalle: con lenti e soffusi sfruscii e sferragliamenti il treno riparte nel suo tubo e io, assaporandone i suoni (vedere per me, oggi, è un problema e ciò mi strania), faccio le scale con persone ben più frettolose di me. Arrivo ai tornelli ed esco, lasciandomi trasportare al pian terreno dalle scale mobili, cullandomi della musica che arriva da lì sopra. Altri scappano, sospinti dalle scale meccaniche e arrivano al piano terra, io giungo con un po' di noia dietro loro con le mani incrociate dietro la schiena. Dalla pedana delle scale, circondato da macchie e ombre di persone, suoni e luci indefinite di negozi, mi ritrovo davanti al pianoforte ad ascoltare un improvvisato concerto.
La stazione di Torino Porta Nuova ha un pianoforte dove chiunque sappia suonare può esibirsi. Trovo l'iniziativa molto romantica: tante persone (come me) si ritrovano in piedi alle spalle del musicista o sedute sui bordi dell'aiuola frontale, ad ascoltare chi si vuol cimentare. Ascoltare, perché vederci, almeno per me, oggi è difficile: non ho lenti a contatto né occhiali e mi ritrovo a vagare in un quadro impressionista, lontano dalla mia Elisa. Le persone attorno a me sono indistinte, potrei avere accanto Simo o Sergio Mattarella senza rendermene minimamente conto, per me sarebbero solo macchie incappottate in un movimento dai rimandi futuristi.
Incerto, il fiume delle melodie indugia a condensarsi in "Per Elisa". Con nostalgia sorrido ricordando nitidamente il giorno prima in cui io ed Elisa ci siamo salutati col proposito di rivederci prestissimo, mentre io salivo su un treno sufficientemente pieno in cerca di un posto. Come il me del giorno prima tante macchie di colore che sono persone camminano affannate con un trolley alle spalle, non curanti del pianoforte così vicino, dirette verso l'uscita della stazione. Altre passano più tranquille davanti alle vetrine dei negozi del centro commerciale più bello di Torino: la stazione Porta Nuova stessa. Tra bar, negozi di vestiti, tabacchi, fast food, edicole e librerie Porta Nuova non ha niente da invidiare al Duckmall Center1, nemmeno come bacino di clientela. Passando accanto al musicista lo osservo per come riesco, sorridendogli e per poco non sbatto in una colonna bianca e in un ragazzo nettamente più scuro che, appogiatole, gioca col cellulare: meglio guardare davanti a me quando cammino.
Per ammirare la vetrina della Feltrinelli infatti mi fermo, spalmo il naso sul vetro e ragiono se mi convenga entrare o meno. Ho troppi libri in sospeso da leggere tra Università e piacere, non mi conviene aggiungerne altri, proseguo, anche se non so dove andare, e mi ritrovo a guardare vanamente in giro. Persone che camminano, stanno ferme, luci di negozi di vestiti brulicanti di clienti, carabinieri che passeggiano accigliati, indicazioni per fast food, negozi in prossima apertura e scale mobili che vanno verso l'altro. Scale mobili che vanno verso l'alto? E da quando?
A dir il vero le ho viste più volte dando loro poco peso, ma ora, annoiato, estraneo a quel consorzio umano e mezzo cieco, ho una forte voglia di esplorare il piano di sopra. Alzo lo sguardo, giro più volte la testa a sinistra e a destra: la passerella superiore è completamente vuota. È forse vietato l'accesso? Le scale mobili sono perfettamente funzionanti, anche se nessuno le usa.
La prossima volta guardo cosa c'è lì sopra, ora non vedo bene e poi non vorrei litigare con qualche carabiniere perché non so se posso salirci.
Cammino verso l'uscita, verso le note del pianoforte, verso le macchie con giubbotto e trolley, verso quelli che per i miei occhi potrebbero essere Barbara D'Urso a braccetto col fantasma di re Umberto I. Mi fermo e, chissenefrega, torno indietro, mi farò bastare la mia miopia per quella pedana, accessibile a tutti.
Le scale mobili mi trasportano flemmaticamente davanti la vetrina del secondo piano della Feltrinelli, davanti alle pubblicità degli ultimi dischi usciti, accanto ai tavolini dell'Old Wild West, dove, unica compagnia in tutto il piano assieme a un paio di persone uscite dalla libreria, un inserviente spazza il pavimento. Pavimento a quadrati grigi uniformi, soffitto a cassettoni bianchi, con colonne e arcate dello stesso colore su pareti rosse e balaustre trasparenti.
Perché non sale nessuno qui? Probabilmente perché tutti i negozi, tranne la libreria e il fast food, sono in prossima apertura, hanno vetrine grigio opaco, sono oscurate.
Cammino calmo e passeggio tra vetrine spente, guardo qualche schermo acceso che indica i treni in arrivo. Chiudo gli occhi e mi fermo, assaporo i brusii confusi di persone che chiacchierano, le note un po' stonate del piano e il loro commescolìo.
Spento e gelido mattino
Il tremolio sul treno ispira un
torpore fuori dal tempo
Dice un mio vecchio e improvvisato haiku. Risento il tremolìo del treno nei brusii musicali del piano di sotto, mi rilassa il suo rumore bianco, mi culla il suono uterino, ovattato. Guardo con sorriso giù dalla balaustra. Sotto così frenetico e affollato, sopra così calmo e solitario, vedo l'aiuola e le persone in ascolto del piano. E sopra di me uno splendido e luminoso soffitto vetrato fermo sulle arcate e le colonne.
Sempre in vetro è scala a chiocciola ombrosa che mi riporta al pian terreno, all'uscita della stazione, nella folla. A vederci poco potevo inciampare nei gradini, ma oggi concentrandomi ho sentito più cose di quante ne abbia viste, ho colto le lunghezze d'onda che la civiltà dell'immagine elettronica annebbia.
Lo star sempre connessi ci disabilità a ricevere certi stimoli più lenti e soffusi, che richiedono più concentrazione, che non si presentano su un display. Ci fanno sembrare priva di stimoli la natura attorno a noi, quando invece se riuscissimo a mantenere la concentrazione riusciremmo a cogliere altre lunghezze d'onda. Ci abitua a percepire solo con la vista, per trascurare gli altri sensi e la memoria.
(Appunto senza data)
1 Nella serie a fumetti "Pk²" l'immenso e spaesante centro commerciale di Paperopoli
Magnifico! Emozionante! Riesci a dipingere quadri con le parole.
RispondiEliminaGrazie mille!
EliminaScritto davvero sorprendente! Sei migliorato tantissimo nella sintassi: hai trasmesso sensazioni ed immagini con termini e metafore stilisticamente personalizzate.
RispondiEliminaÈ stato bello leggere di qualcun altro che osserva la fauna e flora metropolitana; testo diverso da quello che scrissi io ma sorprendente proprio perché differente! Ho apprezzato molto la scelta di inserire le fotografie sfuocate: anche io sono miope (anche se indosso spesso lenti a contatto) e comprendo ciò che percepisci.
Complimenti!
Grazie mille per i complimenti! Punto a migliorare sempre in quello che scrivo :)
EliminaLa miopia è il grande problema del secolo XXI! XD La maggior parte delle persone che conosco, probabilmente per colpa dello stare chini sui cellulari, ha gli occhiali! Però io solitamente porto le lenti a contatto. Il giorno che ho vissuto questa esperienza però non avevo né le lenti né gli occhiali, e quindi vedevo come in quelle foto!
A me non piace molto andare a Porta Nuova per via dell'affollamento, ma leggendo ciò che hai scritto mi sembrava di trovarmi in un posto completamente diverso, hai reso tutto molto poetico. Bisogna sempre cercare di guardare con occhi diversi le cose che ci circondano.
RispondiEliminaIo ci vado spesso, però anche a me da fastidio il suo affollamento. Infatti mi sono rifugiato sul suo secondo piano, che era praticamente vuoto! Grazie per il commento, volevo proprio essere "poetico", mi fa piacere esserci riuscito!
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