Perché quando e dove l'uomo divenne un agricoltore stabile? Ecco un tema che ho scritto l'anno scorso per la scuola, che spiega in maniera veloce e concisa questo periodo fondamentale nella storia dell'umanità!
Lo studio di questo argomento mi ha ispirato la i racconti su Dilbat.
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Scene di caccia in pitture rupestri |
Nel corso della
storia sono tanti i filosofi e i poeti che si sono cimentati
nell’immaginare uno stato di natura, un’ipotetica condizione
originaria dell’uomo, in assenza di istituzioni statali e in
perfetta armonia con la natura. Queste menti hanno prodotto opinioni
in merito spesso in contrasto le une con le altre, sostenendo ora una
condizione naturale di violenza ed egoismo, ora una di pace e
armonia: secondo me tutte queste opinioni hanno un fondo di verità.
Studi archeologici, svolti secoli dopo questi filosofi e poeti, oggi
ci portano a credere che quell’ipotetico stato di natura sia
effettivamente avvenuto, e abbia occupato la maggior parte della
storia umana, approssimativamente da 100’000 a 13’000 anni
fa. In questo lunghissimo periodo di tempo l’uomo viveva di ciò
che trovava in natura, cacciando animali e raccogliendo frutti,
cereali e radici: gli umani erano quindi organizzati in piccole
società di cacciatori e raccoglitori, con compiti divisi per sesso
(i maschi cacciavano e le femmine raccoglievano) e attenti a non
abusare di ciò che la natura offriva loro: raccogliere tutti i
frutti da una pianta per esempio avrebbe significato impedirgli di
riprodursi, e quindi, alla lunga, di esaurire le risorse una volta
morta quella pianta.
Queste piccole
società erano nomadi, perché seguivano gli animali che cacciavano,
spostandosi seguendo i branchi.
Se gli umani erano
in armonia con la natura e all’interno delle comunità, non lo
erano tra le varie società: avvenivano infatti guerre tra bande per
contendersi territori di caccia e di raccolta.
Questa situazione
durò come detto migliaia di anni, finché qualche comunità che
aveva scoperto l’uso dei metalli nella mezza-luna fertile che
comprende Mesopotamia, Medio Oriente ed Egitto cominciò a notare che
dai semi che venivano espletati nelle feci crescevano le piante di
cui si cibavano: fu una scoperta fondamentale che permise all’uomo
di poter scegliere cosa produrre; accompagnata da questa intuizione
vi fu quella di selezione artificiale, dove chi piantava i semi lo
faceva scegliendo quelli delle piante più fruttifere,
riuscendo ad ottenere più cibo di prima. Le comunità
iniziarono a stanziarsi per poter coltivare, smettendo di seguire gli
animali… animali che però iniziarono ad attaccare le colture
umane: ci si doveva iniziare a difendere da questi predoni naturali,
e le varie comunità agirono in maniera differente, chi recintando i
campi, chi recintando gli animali. Gli animali che attaccavano le
colture vennero catturati e si cominciò a sfruttare anche loro: fu
così che si iniziò ad allevare capre, mucche e polli. La
domesticazione degli animali segnò il definitivo stanziarsi di
quelle comunità umane.
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Scene agricole nell'arte egizia |
Come detto
precedentemente questo processo iniziò nell’area tra Mesopotamia
ed Egitto… Ma perché proprio lì? La questione è semplice: gli
abitanti di quelle zone ebbero la fortuna di vedere concentrati sul
loro territorio la maggior parte delle specie animali domesticabili
dall’uomo, data anche la fertilità del terreno e il giusto clima.
Questa fu una vera e propria rivoluzione, che dalla mezza-luna
fertile si diffuse lentamente nel resto del mondo. Ma anche
all’interno del territorio originario non tutte le comunità
aderirono totalmente alla rivoluzione: alcune rimasero di
cacciatori-raccoglitori, altre si diedero alla sola coltivazione,
altre al solo allevamento, altre a entrambi. I primi e i terzi
rimasero nomadi, i secondi e i quarti divennero stanziali.
Ma perché queste
scelte? Come già aveva intuito il filosofo Russeau, il passaggio da
stato di natura a
società complessa ha portato anche svantaggi, come
per esempio l’aumento delle ore di lavoro: se i
cacciatori-raccoglitori impiegavano poche ore per trovare il cibo, i
coltivatori-allevatori dovevano lavorare anche dieci ore per ottenere
ciò di cui avevano bisogno: evidentemente alcune comunità avevano
intuito ciò.
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Jean-Jacques Rousseau |
La rivoluzione però
comportava anche dei vantaggi: agendo attraverso la selezione
artificiale, gli umani erano arrivati ad ottenere piante che
producevano molto più cibo di quelle naturali, perciò ci si poteva
sfamare più persone. Aumentò la popolazione, e alcune persone si
poterono permettere di astenersi dal coltivare ed allevare: gli
anziani iniziarono a non lavorare, fornendo un ruolo di consulto
decisionale, e i capi delle comunità si concentrarono sempre più
nel loro ruolo di comando, mentre alcuni iniziarono a specializzarsi
sulla produzione di particolari beni e servizi, barattandoli in
cambio di cibo: questo processo si chiama stratificazione sociale
, e porterà col passare dei millenni alla nascita dei primi governi.
Come spiegato prima
non tutti i gruppi umani reagirono allo stesso modo a questa
rivoluzione, e nomadi e stanziali convissero nelle stesse zone negli
stessi periodi: ciò si risolveva spesso con un conflitto trai vari
gruppi, con pastori nomadi che razziavano villaggi di contadini,
portando anche il bestiame a pascolare sui campi coltivati; questo
conflitto ancestrale può essere visto anche in alcuni miti, come ad
esempio quello di Caino e Abele: gli ebrei erano una popolazione di
pastori nomadi, e si identificavano con Abele, ucciso da contadino
stanziale Caino. Questa diffidenza reciproca continua ancora oggi,
per esempio in Europa verso i Rom, spesso malvisti proprio per il
loro non aver una casa fissa.
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Caino e Abele
rappresentano l'aspra lotta tra i contadini stabili e i pastori nomadi |
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