Disse Ulisse (o meglio, Dante)...

"Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti
ma per seguir virtute e canoscenza"

venerdì 17 gennaio 2020

Il Giovane Ethos - PICCOLO SPAZIO PUBBLICITÀ

Risorgo dalla mia sparizione da sessione invernale per condividere con voi un progetto interessantissimo intrapreso dal grande Lorenzo Lucidi.
Si tratta di un epico racconto a puntate, la sua prima opera letteraria, dall'evocativo titolo "Il giovane Ethos" (il nome del protagonista vuol evidentemente riferirsi a qualcuno, ma non capisco a chi): è la storia di un ragazzo che prede sé stesso nei fiumi dell'alcool e intraprende un lungo percorso di decadimento e di espiazione in giro per l'Italia.
Potete leggere due capitoli a settimana ogni venerdì, sul suo blog... E, in via eccezionale, trovate i primi anche qui di seguito!




0 – INVITO A PRANZO    


Il giovane Ethos dormiva sullo scomodo sedile del pullman extraurbano. Dopo quello che aveva passato, gli sembrava di essere quasi in una limousine, e gli scossoni gli avevano conciliato il sonno. Così, giunti al capolinea, non si rese conto che la corsa era finita.

«Avanti! Sveglia, razza di lavativo!» tuonò l’autista del mezzo, impaziente di raggiungere i colleghi al bar prima di ripartire. Era la mattina del 31 dicembre, e l’uomo non aveva certo voglia di fare gli straordinari.

Se avesse avuto un briciolo di forza, Ethos avrebbe reagito a tanta maleducazione. Ma preferì raccogliere il suo zainetto pieno di cenci e scendere dal pullman senza tante storie.

Il ragazzo prese una delle strade principali che partivano dalla stazione e proseguì il viaggio a piedi. Non aveva ben precisa la destinazione, ma per ora gli bastava seguire la discesa per essere sicuro di andare nella direzione giusta. Sulla sua testa cadeva una leggera ma insistente pioggia invernale, che Ethos faceva finta di non sentire. Per lui contava solo mettere un passo davanti all’altro, consapevole che in un modo o nell’altro il suo peregrinare stava per finire.

Dopo un lungo camminare, il giovane entrò nella cittadina costiera che era l’ora di pranzo. Ma a giovargli non c’era nemmeno il profumo di qualche pasto caldo: in quella stagione, il paese era pressoché disabitato. Tanto che dovette attendere parecchio prima di incrociare un passante a cui chiedere informazioni.

«Via dei garofani acquatici» fece Ethos a una signora che portava a spasso il cane. L’indirizzo era scritto a matita su un foglietto ormai fradicio, ma ancora leggibile.

La signora elargì le indicazioni necessarie a tempo di record, poi scappò via a passo sostenuto con la bestiola. C’era da capirla: Ethos non ispirava fiducia, e nemmeno emanava un buon odore. Fatto sta che egli trovò agilmente la strada, da lì poco distante.

Il numero civico che aveva segnato corrispondeva a una struttura abbandonata e cadente a picco sul mare. Un vecchio albergo, forse. Di sicuro disabitato da anni.

Approfittando di un cancello cadente, il ragazzo entrò nel cortile. Le porte e le finestre erano tutte murate, salvo una porticina al piano superiore. Per arrivarvi, Ethos salì i gradini pericolanti di una scaletta priva di balaustra. Giunto sulla vetta, il giovane si affacciò dal balconcino su cui era giunto: sotto di lui c’erano decine di metri di nulla, poi una scogliera, infine il mare freddo e impetuoso che urlava. Per Ethos era una invitante via d’uscita alla sua vita disgraziata. Poi però decise che, essendo ormai lì, valeva la pena vedere cosa avrebbe incontrato.

Il ragazzo entrò nella struttura. Davanti ai suoi occhi si aprì un salone diroccato, pieno zeppo di tavoli e sedie ormai marci. Il pavimento era coperto di calcinacci e i vetri in frantumi, ma si capiva che, una volta, quello doveva essere un luogo assai elegante.

Lì dentro il fragore del mare giungeva ovattato dai muri e dai brandelli di tende davanti alle finestre. D’improvviso una voce pacata ruppe questa monotonia.

«Sei arrivato, finalmente. È parecchio che ti aspetto.»

Ethos si voltò. Nella penombra vide un individuo seduto in un angolo della sala. Sorprendentemente, era accomodato a un tavolo integro, perfettamente apparecchiato con tovaglia bianca, posate lucidate di fresco, piatti colmi e fumanti.

«Avanti, siediti – fece la voce – dobbiamo festeggiare il tuo arrivo!»

Circospetto come al solito, Ethos si avvicinò lentamente. Non si fidava di quell’individuo di cui non riusciva a scorgere il volto, ma quella tavole imbandita era un richiamo irresistibile. Da quanto non partecipava a un simile banchetto? Nemmeno se lo ricordava.

«Chi sei?» fece il ragazzo con la voce resa roca dalle intemperie e dalle vicessitudini.

«Questo te lo dirò poi. Intanto voglio chiederti una cosa: tu sai chi sei?»

«No – fece Ethos – non più ormai.»

Il misterioso individuo spiegò un tovagliolo candido come la neve e lo pose sui pantaloni, come si conviene a un gentiluomo. Poi invitò il commensale a servirsi.

«Avanti, mangia gli antipasti. Durante il pranzo ti rinfrescherò la memoria. Poi, ti spiegherò perché sei qui… e chi sono io!»

1 – LA FESTA


Ethos si vide versati nel suo piatto manicaretti di ogni tipo e iniziò a gustarli avidamente.

«Sono contento che ti piacciano – fece il misterioso commensale – ora però ascoltami. Perché la tua caduta, e i tuoi errori a valanga, sono iniziati in quanto non desti ascolto ai consigli degli altri.»

Ricordi? Era primavera, e stavi vivendo la tua solita vita da studente, lassù a Torino. Stavolta, però, c’erano pochi compagni fidati e tanti falsi amici pronti ad approfittarsi di te.

Era una festa come tante altre. Non sapevi di chi fosse, non ti interessava. Erano poche le sere che passavi lontano da party e compleanni, e non cambiava nulla se tu conoscessi il festeggiato o no. Quella sera, però, fu diversa. Di solito ti imbucavi nelle feste per mangiare a sbafo, visto che l’affitto e la retta ti lasciavano ben pochi soldi per mangiare. Così avevi affinato la tua tecnica: un vestito elegante, modi garbati e un regalo preso chissà dove erano il tuo passepartout per qualsiasi evento di ragazzi della città.

Qualcuno ormai aveva iniziato a riconoscerti e ad accorgersi di te, ma ti lasciavano fare. Anzi: lo Scroccone delle feste, ormai, era diventato un’istituzione a Torino. E qualcuno segretamente sperava che tu ti imbucassi proprio al suo compleanno.

Ma quella festa primaverile, come detto, cambiò tutto. Era un diciottesimo, di una ragazza ricca della borghesia piemontese. Alla sua festa c’erano centinaia di invitati, tutti ben vestiti e arrivati con auto nuove di zecca o accompagnati dai genitori su grosse berline. Ma era una festa noiosa, con poco da mangiare, e la fame si faceva sentire. Così, per riempire la pancia iniziasti a scolare tutto quello che ti capitava a tiro. Non era la prima volta che bevevi molto, alle feste. Ma nei consessi in cui di solito ti imbucavi servivano birra annacquata e vino del supermercato. Lì, in quel party esclusivo, mandasti giù bottiglie intere di super alcolici costosi e dai nomi esotici. Che in pochi attimi ti fecero perdere ogni controllo.

La festa fu un disastro, animata dalle tue intemperanze. Annebbiato dai fumi dell’alcol iniziasti ad approcciare tutte le ragazze, urlando slogan incomprensibili e frasi violente e sconnesse.

«Ehi bistecca!»

«…»

«Dico a te, non fare finta di non sentire! Cos’hai, il prosciutto nelle orecchie? No, scherzo… te lo sei mangiato tutto, grassona!»

I ragazzi ridevano sentendoti biascicare oscenità alle femmine. Ma poi i tuoi sproloqui divennero insostenibili.

«Tu… tu sai chi era Kant? – facesti a una ragazza bionda e minuta – Lo sapevo! Siete tutti ignoranti! Nessuno lo conosce a fondo! Corpo di mille… che erano… Ah sì! Gli uccelli migratori. Migriamo anche noi in Alaska! Forza!»

Privo di controllo salisti su un tavolo del buffet e ti spogliasti nudo, a eccezione del, mutande – per fortuna – poi svuotasti la ciotola della sangria su una zia della festeggiata e iniziasti a brandire un mestolo facendo finta di essere a cavallo.

«Cloppiti cloppiti! Abbasso la Repubblica! Viva la monarchia! Viva l’unico imperatore, Carlo d’Asburgo! Cloppiti!»

La misura a quel punto fu colma. Gli invitati ti presero di forza e ti gettarono fuori, mentre cercavi di picchiarli con il mestolo.

La mattina dopo ti svegliasti con i postumi della sbornia in un parcheggio poco distante dal luogo della festa. La testa ti faceva male, ma non ricordavi cosa fosse successo. Vicino a te c’era una bottiglia di Vodka da 40 euro al litro piena a metà.

«Un goccio mi snebbierà la mente» facesti mandando giù l’intero contenuto della bottiglia.





Incuriositi? Potete leggere il capitolo 2 sul blog di Lorenzo, a questo link!

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Disse Anton Ego...

"Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale."